Allacciate le cinture: recensione del film di Ferzan Özpetek

Allacciate le cinture è il decimo film di Ferzan Özpetek, uscito nelle sale a marzo 2014, trovando un ampio consenso di pubblico.

Sulla scia di tutti gli altri film a cui ci ha abituati Ferzan Özpetek, anche Allacciate le cinture è un fulcro cocente di drammi e problematiche dell’animo umano.

Quando si vede un film di Özpetek si viene sempre trasportati nelle vite di persone qualunque che diventano personaggi con le loro convinzioni e i loro turbamenti. Lo stile di Özpetek è divenuto inconfondibile proprio per l’estrema capacità di far instaurare tra spettatori e personaggi un rapporto intimo, come se la visione del film costituisse un racconto confidenziale, uno svelamento delle paure, un confronto di sensibilità.

In questo caso c’è Elena, la bellissima e finalmente matura Kasia Smutniak, e Antonio, interpretato sorprendentemente bene da Francesco Arca, qui al primo ruolo da protagonista in un film per il cinema.

Allacciate le cinture

Le loro vite si uniscono nonostante le diversità: lei giovane barista, lui meccanico. Lei, insieme al suo amico Fabio (Filippo Schicchitano) progetta di trasformare in un bar una vecchia stazione di rifornimento di benzina, lui nel frattempo ha un relazione con Silvia (Carolina Crescentini) amica e collega di Fabio ed Elena.

Allacciate le cinture

Elena ha una fastidiosa repulsione per Antonio, lo ritiene omofobo, rozzo e razzista, fin quando un giorno, dopo aver ordinato una birra, lui le confessa di essere anche dislessico. Elena da un semplice input da parte di Antonio inizia a rendersi conto di essere attratta da lui, nonostante sia fidanzata da due anni con Giorgio (Francesco Scianna).

L’attrazione sfocia rapidamente in passione quando i due si incontrano prima nell’officina di lui e poi in una spiaggia isolata, dove fanno l’amore.

Da qui il salto temporale di 13 anni: la stazione di benzina è il bar di Elena e Fabio, Antonio e Elena sono sposati e sono i genitori di una bambina di dieci anni e un bambino di sei. Una vita apparentemente serena, messa continuamente in crisi dai furiosi litigi tra i due che avvengono puntualmente davanti ai bambini.

Elena è costretta a tirare il freno della propria esistenza indaffarata e vitale quando, dopo un casuale controllo dal medico, le viene diagnosticato un tumore al seno.

Da qui la vicinanza della famiglia, della madre Anna (Carla Signoris) e della zia Viviana (Elena Sofia Ricci) e degli amici più stretti. In ospedale, durante i cicli di chemioterapia a cui deve sottoporsi, incontra la dottoressa Diana (Giulia Michelini) che aveva conosciuto anni prima quando era ancora una specializzanda in medicina e Eagle (Paola Minaccioni), una donna simpatica e stravagante, anche lei malata di cancro. Antonio, invece, rimane trincerato dietro il suo dolore in maniera inspiegabile, gelido e distante dalla donna che ama.

Allacciate le cinture

Quando Eagle muore Elena decide di voler tornare a casa con suo marito dai suoi figli. Il turbamento che la colpisce è anche dovuto a un sogno premonitore in cui il marito si risposa con la parrucchiera Maricla (Luisa Ranieri). Antonio allora, decide di riportarla nella spiaggetta solitaria dove tanti anni prima avevano trascorso momenti intensamente felici.

Quando stanno andando via, un guizzo di pura fantasia del regista – forse troppa – fa incontrare Antonio ed Elena con il loro passato, quando in quella spiaggia ci arrivarono più giovani e in moto, con un effetto straniante per il personaggio di Elena, ma non troppo per chi guarda il film. Infatti, l’incontro con il passato può rappresentare, seppur forzatamente, tutto e niente, il desiderio di spensieratezza, il legame nostalgico al passato, la rassegnazione ad una vita cambiata e segnata da dolore e difficoltà.

Il film si conclude con il ritorno all’anno 2000, quando Elena, supportata da Fabio, è costretta a svelare a Silvia la relazione che ha con Antonio ma viene bruciata sul tempo da Silvia stessa, la quale confessa di avere una relazione con Giorgio. L’equivoco viene risolto dalle risate dei tre amici.

Allacciate le cinture

In molti hanno detto che Allacciate le cinture non è il miglior film del regista di origine turca, che Francesco Arca non sia al pari del calibro degli attori scelti in passato (Luca Argentero su tutti), che la storia non dica nulla e che sia semplicemente una storia. Come ce ne sono tante altre.

Pur ammesso che Allacciate le cinture sia solo – come se fosse poco – una storia, è giusto rilevarne le qualità puramente narrative. Özpetek, in quanto narratore, si è dimostrato abile, in grado di dipingere con i colori pastello del mare e delle spiagge pugliesi prima la spensieratezza e poi la nostalgia, per passare ai toni scuri con punte di verde acido per tingere la malattia. Nel mezzo, i colori della passione dei due protagonisti, vividi e mediterranei. Diversi ma mai divisi.

Özpetek anche con questo film, seppur in maniera minore o forse solamente diversa rispetto ai precedenti, non squarcia le menti degli spettatori nei confronti di temi come l’amore, la malattia o la morte ma cuce con prudenza le riflessioni, lasciando che il cambio di registro da dramma a commedia, possa giovare alla presunta banalità di una trama solo onestamente semplice.

Trattandosi di un film corale “alla Özpetek” in Allacciate le cinture i personaggi di contorno sono tratteggiati con minuziosa cura, in grado di dare tanto al film, contribuendo all’equilibrio delle parti.

Ottima la fotografia a cura di Gian Filippo Corticelli e molto appropriata la scelta musicale di A mano a mano di Riccardo Cocciante, nella versione cantata da Rino Gaetano, mentre le musiche originali sono di Pasquale Catalano.

Regia - 5
Sceneggiatura - 4.5
Fotografia - 4.5
Recitazione - 4.5
Sonoro - 4
Emozione - 4.5

4.5