Misery non deve morire: recensione del film con Kathy Bates
Capita che uno scrittore decida di terminare la storia di un personaggio con la sua morte. E’ un finale ad effetto, che non lascia spazio ad interpretazioni superflue, efficace. Ricordate l’odio profondo che si prova nel leggere della morte del proprio personaggio preferito? Il rancore verso quell’autore dal cuore di pietra che non ha tenuto conto dei nostri sentimenti di lettori? Immaginate di essere dei pazzi assassini e di avere la possibilità di far cambiare idea a quello scrittore, di costringerlo a terminare il suo libro a vostro piacimento. Questo è Misery non deve morire.
Tratto dal romanzo Misery di Stephen King (titolo mantenuto nella versione originale), il film del 1990 di Rob Reiner vede come protagonisti James Caan, nei panni dello scrittore Paul Sheldon, e la spaventosa e tremendamente efficace Kathy Bates, la sua più grande fan.
Sheldon è uno scrittore che ha raggiunto la fama grazie alla serie di romanzi dedicati ad un’eroina di nome Misery. Sentendo la sua carriera di romanziere troppo legata alla celebrità di Misery, decide di concludere la serie facendola morire durante il parto. Si dedica ad un nuovo libro, estraneo alla serie, e lo termina – come suo solito – isolato in una sperduta località di montagna in Colorado. Mentre sta ritornando verso New York per consegnare il manoscritto, però, incappa in una tormenta di neve e rimane vittima di un incidente d’auto. Gli salva la vita Annie Wilkies, un’ex infermiera che si prende cura di lui, ma quella che inizialmente sembra una donna amorevole e un’ammiratrice adorante, si rivelerà una minaccia concreta alla vita di Paul. Lo scrittore, per salvare la propria vita, dovrà salvare anche quella di Misery.
Misery non deve morire: il genio di Stephen King
Stephen King ha creato una storia inquietante, che scava – come suo solito – nelle profondità della mente umana. Il personaggio di Annie è folle, completamente distaccato dalla realtà. La sua doppia personalità, un’ammiratrice passionale, ma squilibrata e violenta, risulta chiara fin da subito, ma si sviluppa nel corso del film. Con il proseguire della narrazione, ci stupiamo di scoprire fino a che punto è disposta a spingersi questa donna apparentemente dolce e attenta, pur di non perdere la sua eroina. Misery, per Annie, rappresenta la fuga dalla realtà: si identifica con le sue avventure e le sue disavventure. Misery non deve morire rappresenta l’attaccamento morboso che una mente fragile può sviluppare nei confronti di una celebrità o, in questo caso, di un personaggio fittizio. Pur essendo evidentemente romanzato, il film racconta un meccanismo reale, che più di una volta è finito in tragedia.
Misery non deve morire: Kathy Bates
Rob Reiner dà vita a personaggi convincenti tra cui spicca, senza ombra di dubbio, una strepitosa Kathy Bates, che non a caso riceve un Oscar per la sua interpretazione. L’attrice dimostra, forse più che mai, tutta la sua abilità. Ci intenerisce, ci fa sentire al sicuro, ma quando emerge la vera indole della donna, è tutta un’altra storia. Quello sguardo fisso, avvolto nell’ombra, porta con sé un terrore particolare. La violenza fisica, comunque presente nel film, non sarebbe nemmeno servita. Basta il talento di Kathy Bates a farci gelare il sangue.
Contribuisce, certamente, la musica di tensione e la regia impeccabile di Reiner che ci mantiene sull’attenti e inserisce una giusta dose di tachicardia nei momenti clou. Contribuisce, sì, ma senza l’attrice adatta non funzionerebbe allo stesso modo. E’ in film come questo che si percepisce quanto Kathy Bates sia sottovalutata e che si dà davvero credito ad una serie come American Horror Story per aver permesso alle nuove generazioni di riscoprire un’attrice del suo calibro.
Siamo abituati a film dell’orrore ad effetto, spettacolari, violenti. Guardando Misery non deve morire, ci si accorge che esiste un particolare tipo di inquietudine, appagante quasi quanto una bambola posseduta da uno spirito maligno o il terrore di una casa stregata. E’ l’inquietudine dell’imprevedibilità, di uno sguardo che è allo stesso tempo intenso e vuoto; è l’inquietudine che scaturisce dalle profondità sconosciute della mente umana.