Le verità nascoste: recensione del film di Robert Zemeckis
Sospiri, menzogne, paure e intrighi avvolgono l’anima de Le verità nascoste, in un affanno di ombre, sorrisi, grida in cui si introietta lo spettatore, permeato come da una membrana di anormalità inizialmente innocua e dai nervi a fior di pelle.
Diretto da Robert Zemeckis e uscito in sala nel 2000, il film interpretato da Harrison Ford e Michelle Pfeiffer si pone in un limbo definito in cui il thriller viene romanticamente tracciato dalla drammaticità. Nella trama nulla di spudoratamente originale, ma tanti piccoli dettagli tipici del regista statunitense che fanno della pellicola un gioiellino godibile e ben costruito, capace di affascinare senza stancare; far trasalire al momento giusto dosando il respiro al pensiero e far riflettere su quanto possano essere labili i rapporti umani, la memoria stessa e la fiducia nel prossimo.
Le verità nascoste, nel compiere il suo omaggio a La finestra sul cortile di Alfred Hitchcock, ritrae uno dei temi cari al “maestro del brivido”, qual è la relazione di coppia, nonché parte della caratterizzazione del personaggio principale, intento a spiare la vita altrui.
Claire (Michelle Pfeiffer), dopo la dipartita della figlia per il college, si ritrova a vivere una nuova fase della sua esistenza, apparentemente più romantica. L’ansia del distacco dalla primogenita viene riempita dall’affollare di ricordi fotografici che come post-it riaffiorano per sottolineare le lunghe ombre del passato, in un intercalarsi di sensazioni sfuggevoli e incerte intente a far intuire allo spettatore un presentimento prontamente smentito fino alla prima metà della pellicola.
Claire e Norman (Harrison Ford) sono davvero così perfetti?
Ciò che all’apparenza sembra un rapporto nutrito di amore, passione e affetto assume un aspetto cangiante col passare dei minuti, nella prospettiva di una casa sempre più cupa e grondante di misteri, in cui specchi lucenti riflettono immagini di defunti, il vento apre porte e fa cadere cose e l’occhio di un binocolo scruta senza ritegno le oscurità della casa di fronte in un circolo vizioso di ossessioni malato quanto riflessivo.
Dall’immensità della casa appartenuta al suocero Claire spia le mosse dei suoi vicini – la bella e disperata Mary e l’apparentemente inospitale marito di lei, Warren – convinta che lui l’abbia uccisa. Nella sua mente dipinge in lei una donna disperata (sostenuta certamente dal pianto di Mary, udito di nascosto in giardino) e in lui un uomo burbero, imbroglione e assassino. Spinta da un senso di giustizia umana a fare qualcosa per Mary innalza nella sua psiche un tunnel contorto in cui la malattia mentale confina col potere visionario e con la verità.
Strizzacervelli, lunghe disquisizioni con Norman e sedute spiritiche non fanno altro che cercare di deviare lo spettatore verso una risoluzione del giallo banale, salvo poi smascherare il vero colpevole della faccenda e scoprire nel personaggio di Harrison Ford un gelido assassino, disarmato di amore e compassione.
La macchina da presa ci fa scorgere i minimi dettagli delle cose, lasciandoci immedesimare nello sguardo della protagonista e comunicandoci l’ansia di vivere non tanto attraverso le immagini, quanto con la musicalità dei perenni affanni che, se proprio non fanno balzare dalla poltrona chi è maggiormente avvezzo a pellicole del genere, certo sorprendono anche i ‘più preparati’, regalando emozioni inaspettate, anche se per qualche frazione di secondo.
Nell’omaggiare Hitchcock, Robert Zemeckis omette i dettami di costruzione sartoriale delle inquadrature, ponendo nella condizione di voyeur la protagonista e facendole ritorcere contro quanto accade nella finestra di fronte.
Per certi versi Le verità nascoste ha una costruzione speculare: ciò che Claire pensa stia accadendo ai vicini di fatto avviene a lei e ad avvertirla sono gli spettri e gli specchi, a punirla e a ferirla sono i vetri delle cornici andate in frantumi, come se da quelle lastre intinte nell’argento vivo dovesse trarre trasparenza e verità.
Geniale l’uso della luce quasi sempre fioca o assente, atta a sottolineare i lineamenti del viso, a intingere di erotismo le scene d’amore o inebriare di terrore i momenti di lotta. La location su cui fa leva il film, inoltre, è già di suo suggestiva: una casa sul lago isolata e avvolta nella nebbia e nella casa un bagno che l’inquadratura sa rendere ancora più profondo, come se fosse un bunker in cui sperimentare l’aldilà.
La vasca sospesa, il vapore assillante e quella mano insanguinata rimasta tatuata sul bordo della vasca sviscerano una serie di cliché inconsci e immagini pittoricamente indimenticabili.
Le verità nascoste, con la sua volontaria costruzione da ‘manuale del thriller perfetto’, sa intrattenere e far riflettere quanto spesso, nello specchio della routine, ci sia molto più di una semplice immagine riflessa.