Deepwater – Inferno sull’Oceano: recensione del film con Mark Wahlberg
Quando le storie vere fanno tremare più di qualsiasi altro racconto di fantasia, il cinema ne trae spunto per la realizzazione di futuri progetti. Scelta come ultimo disastro da trasportare sul grande schermo, è la tragedia che ha colpito nel 2010 uomini e donne sulla piattaforma petrolifera Deepwater Horizon ad aver conquistato la curiosità di registi e produttori, il terrore di un’interminabile notte che contò morti e feriti nel bel mezzo delle profonde acque del Golfo del Messico.
Deepwater – Inferno sull’Oceano è la nuova opera del regista americano Peter Berg (The Kingdom, Hancock, Battleship, Lone Survivor) che riporta lo spettatore alle ore precedenti a quell’implacabile catastrofe, un film saldo sulla paura e il coraggio di persone temerarie con Mark Wahlberg, Kurt Russell, John Malkovich, Kate Hudson e Dylan O’Brien.
Deepwater – Inferno sull’Oceano: il disastro nel Golfo del Messico che colpì uomini e ambiente
È il 20 aprile 2010. Mike Williams (Mark Walhberg) ed altri membri del team della Deepwater Horizon, come da semplice procedura, si recano sulla mastodontica semisommergibile piattaforma per completare le fasi finali dell’attuazione di un pozzo tra la parte sud dell’America e quella nord del Messico. Quarantatre giorni di ritardo sulla tabella di marcia e continue sollecitazioni da parte delle personalità più influenti, un connubio rovinoso che porterà all’incauto agire dei responsabili dell’enorme fabbricato, i quali si vedranno catapultati senza rimedio in una notte di fiamme e fuoco, esplosioni e morte.
Disastro in mare aperto quello che tolse la vita a undici persone in quel lontano giorno di sei anni fa, la fuoriuscita di idrocarburi dal fondale marino che costò la salvaguardia di un numero di uomini a bordo di un basamento all’apparenza sicuro e riscontrò dannosissime conseguenze a livello ambientale sui territori del Golfo del Messico e sulle coste della Luisiana. Deepwater – Inferno sull’Oceano è la didascalica operazione la quale si appresta a narrare le imprudenze di quei pochi che vanno a ripararsi nell’ardore di molti, errori causati dall’inconsideratezza umana i quali potevano benissimo esser evitati procedendo con attenzione e accortezza, termini sconosciuti a chi avidamente viene mosso soltanto dalla spasmodica ricerca di soldi.
Protagonista Mark Wahlberg nelle logore vesti di un sopravvissuto al dramma della Deepwater Horizon, il film di Berg si sviluppa in due distinti momenti della storia, da un inizio che si fa introduzione preparatoria punteggiata da una significativa serie di segnali come ad annunciare l’imminente disastro a cui la piattaforma sta per andare incontro ed uno svolgimento capitanato dal funesto susseguirsi di deflagrazioni e grida di aiuto. Un pozzo infernale quello su cui poggiano i piedi dei personaggi di cui la cinepresa ritrae innumerevoli volte i cedevoli meccanismi, malmessi ingranaggi incapaci di resistere ad un’impetuosa pressione, la quale causerà la distruzione di uomini e lavoro.
Deepwater – Inferno sull’Oceano: più un documento che una visione cinematografica
Scopo del montaggio alternato di Colby Parker Jr. è quello di ammontare, con lo scorrere dei fotogrammi, la prevedibile tensione che l’evento comprensibilmente va a suscitare, ma un distacco emotivo delimitato da uno stile di regia piatto ed una sceneggiatura fredda e controllata, scritta da Matthew Michael Carnahan e Matthew Sand, non permette un coinvolgimento totale con Deepwater – Inferno sull’Oceano, che non colpisce particolarmente se non per le eroiche gesta di quegli sfortunati uomini, limitandosi ad esaltare una solidarietà ed un’umanità toccanti e spiazzanti.
Rimane perciò un film scorrevole, ma di certo non appagante il nuovo lavoro di Peter Berg, il quale riporterà alla luce i terribili fatti avvenuti nel 2010, condannando le scelte dei conosciuti colpevoli e lodando il valore di quel manipolo di uomini che preferirono mettere in pericolo le loro vite pur di salvarne altre. Un’opera purtroppo mancante di appiglio e di pathos, la quale perciò si fa in questo modo più documento di testimonianza che visione appassionante.