Boyhood: recensione del film di Richard Linklater
Boyhood ci rende osservatori privilegiati di una vita in divenire, fatta di dubbi, speranze, rimpianti e quotidiane emozioni.
Boyhood è un film che promette tanto: unico nel suo genere, è stato girato nel corso di dodici anni per permettere allo spettatore di veder crescere ed invecchiare realmente i protagonisti.
Proprio in questa ambiziosa premessa risiede il motivo per cui scegliere di vederlo ed eventualmente amarlo: non aspettatevi azione, colpi di scena o situazioni fuori dall’ordinario perché Boyhood è esattamente la storia di una vita ordinaria, fatta di aspettative (a volte deluse), momenti di felicità autentica e piccoli ritagli di vita quotidiana che sembrano portare a nulla… ma forse no.
Richard Linklater si è affidato al talento e alla fedeltà di veri fuoriclasse per tirare fuori un film memorabile, che ci insegna innanzitutto che ogni azione ha delle conseguenze, anche la più apparentemente insignificante. L’unica differenza, rispetto a tutto ciò che si è già visto su questo tema, è che qui le conseguenze non sono dirette, spesso covano nella sensibilità e nell’animo in via di maturazione dei protagonisti, altre volte interessano vite che si sono solo sfiorate, senza minimamente immaginarsi di aver provocato delle vere e proprie rivoluzioni con una parola.
Mason (Ellar Coltrane) ha otto anni. Figlio di genitori divorziati (Ethan Hawke e Patricia Arquette), vive insieme alla mamma, la dispettosa sorella di poco più grande (Lorelai Linklater) e i vari uomini che si succedono nella vita della madre, uno più inadeguato dell’altro. Il padre sembra essere un immaturo giramondo, che cerca di colmare la sua scarsa presenza ubriacando i figli di divertimenti e leggerezza, mentre la sua ex moglie si scapicolla fra trasferimenti frequenti e relazioni sbagliate nell’intento di dare un futuro migliore a se stessa e ai figli.
Boyhood osserva, con un occhio quasi clandestino, l’evoluzione di questo ragazzino dallo sguardo mezzo rassegnato e dall’animo poetico, sottolineando i grandi passaggi della sua vita fino all’ingresso al college: la scuola, i rapporti con gli amici, la scoperta dell’altro sesso, le insicurezze e le conquiste.
Tutto quello che succede provoca nello spettatore l’inevitabile aspettativa che qualcosa di più grande o sconvolgente stia per accadere: tutte aspettative disattese dallo scorrere di giornate in cui, se qualcosa di importante accade, è solo dentro l’anima di Mason e di chi gli sta vicino.
La scena in quanto tale si rende vera protagonista del film, prendendosi il suo tempo senza preoccuparsi di arrivare da qualche parte, semplicemente accompagnando lo spettatore al momento successivo; i dialoghi, lenti e cadenzati, danno spazio al non detto, le comunicazioni sono importanti più perché danno la misura del tipo e dell’intensità del rapporto fra interlocutori che per i loro contenuti.
Papà Mason Senior ci tiene a parlare con i figli, vuole che loro si aprano con lui e, di fatto, è quasi solo attraverso i dialoghi che lo coinvolgono che arriviamo a capire cosa succede nel cuore dei suoi ragazzi; la madre è troppo occupata a tirare avanti la baracca e, a causa dei tanti fallimenti, forse troppo amareggiata per rassicurare i figli sul loro futuro.
La colonna sonora, grande e potente presenza, contribuisce insieme ad altri riferimenti storici ad inquadrare nel tempo le vicende; dai Coldplay a Lady Gaga, da Harry Potter alla Twilight Saga, le incertezze di Mason si incastrano perfettamente nel periodo storico più incerto di questo secolo: il post – attentati dell’11 settembre; le considerazioni sulle motivazioni della guerra in Iraq e la successiva candidatura di Obama fanno da specchio alle piccole grandi rivoluzioni interiori del ragazzo che, ormai giunto nell’era di Facebook, si interroga sul valore ed il senso di questo nuovo e artificioso canale attraverso il quale ci illudiamo di rapportarci alle persone.
La fine del primo amore, la fatica a conquistarsi un posto in un mondo che non lascia sempre liberi di esprimere se stessi sono temi che caratterizzano l’avvento della maggiore età del ragazzo, che si prepara ad affacciarsi nel mondo dei “grandi” come tutti, e cioè non convinto di averne gli strumenti.
La passione per la fotografia, caratterizzata dalla mania per i dettagli, simboleggia l’immaturità adolescenziale del protagonista che, non riuscendo ancora ad avere una visione d’insieme delle cose , fatica a dare un senso o trarre un insegnamento dalle situazioni vissute.
Lasciato il nido familiare e ormai ventenne, Mason fa un primo bilancio della sua breve vita, ancora una volta, parlando con il padre, divenuto anch’egli ormai adulto: qual è il punto di tutto? qual è il punto del film? La risposta è una sola: sentire qualcosa.