La casa: recensione del remake di Fede Alvarez
“Abbiamo trovato un grande artista, che è geniale, ed è Fede Alvarez. Il remake è fedele allo spirito originale ma ha la sua voce, la sua forza ed è fuori da ogni schema così come il primo film”.
Così si pronuncia Sam Raimi, il padre della famosa saga horror, parlando del remake de La casa di Fede Alvarez. Più di trent’anni dopo la prima delle innumerevoli avventure di Ash vs Evil Dead, la notizia dell’imminente uscita di un remake de La casa fece tremare molti fan, non di paura bensì di rabbia, per il timore di vedere l’ennesimo prodotto hollywoodiano nato morto e infiocchettato per un pubblico di sbarbatelli che non apprezzava il cult in quanto “gli effetti speciali fanno ridere”.
Non fu così. Fede Alvarez diede vita a qualcosa di spaventosamente raccapricciante e il parto andò a buon fine grazie alla presenza degli stessi Sam Raimi, Bruce Campbell e Robert Tapert, nelle vesti di produttori.
La casa: un horror che non lascia scampo
Il film inizia con un ritmo ed un’atmosfera inquietante, mostrandoci una ragazza legata in un seminterrato, circondata da diverse persone tra cui un’anziana intenta a leggere strane formule: si trattata di possessione e la malcapitata viene arsa viva dal suo stesso padre.
Tempo dopo una comitiva di cinque ragazzi composta dalla tossicodipendente Mia (Jane Levy), suo fratello David (Shiloh Fernandez), la fidanzata Natalie (Elizabeth Blackmore), l’infermiera Olivia (Jessica Lucas) e Eric (Lou Taylor Pucci), arriva in una casa sperduta nel bosco per divertirsi ed aiutare Mia nella difficile impresa di disintossicarsi.
Guarda caso la casa in questione possiede una strana cantina con all’interno uno strano libro che (guarda caso) l’imbranato di turno si appresta subito a leggere invocando un demone che, una volta impossessatosi di Mia, inizia a scatenare l’inferno. Incomincia così un vortice verso una folle ed inconcepibile realtà in cui per sopravvivere bisogna bruciare oppure smembrare o ancora seppellire vivi i corpi impossessati sperando di arrivare vivi al sorgere del sole. Mia arriva in salotto con un’andatura insolita prorompendo in un “Stanotte morirete tutti”. Come si suol dire, ragazzi avvisati mezzi salvati…
Alvarez decise di non includere la figura di Ash nel remake de La casa e noi lo apprezziamo per questo in quanto sarebbe stata una scelta troppo azzardata, è difficile pensare ad un Ash che non sia Bruce Campbell!
Dopo esser stato assoldato da Raimi il regista scrisse il copione del film cambiando la trama originale ed inserendo elementi nuovi che discostano il prodotto dall’essere un semplice rifacimento di un cult. Un’impresa coraggiosa, ancor più dopo che Raimi gli disse “Ma certo, scrivi pure! Tanto se non dovesse andar bene lo faremo fare a qualcun altro”. Interessante è l’innovativo tema della disintossicazione dalla droga e la scelta di una protagonista femminile in balia di un inferno personale che si trasforma in una reale maledizione: gli amici di Mia inizialmente pensano che i suo strani comportamenti e discorsi siano gli effetti di una difficile crisi d’astinenza.
Nel film regna un’atmosfera tesa e serissima che non lascia spazio a battutine, risate o momenti demenziali, si resta al muro, senza scampo e con il cuore in gola durante tutta la durata del supplizio. Ad accrescere il terrore è anche l’accurato make-up utilizzato per gli indemoniati che punta ad un effetto realistico senza diventare grottesco; le lunghe sequenze di tortura, agonia e mutilazioni disseminate in tutto il film sono sublimi e appagano il nostro guilty pleausure, ancor più perché realizzate “artigianalmente” senza l’utilizzo di CGI, in modo da donare sensazioni reali pur mostrandoci situazioni assurde (braccia auto-mutilate con un trita carne, mani mozzate, una lingua tagliata lentamente da un cutter, un esagerato vomito sanguinolento).
Molto intensa è anche la sequenza dei rami che stuprano Mia richiamando alla mente la famosa scena che vedeva come protagonista Ellen Sandweiss.
Se durante tutta la durata del film siamo rapiti da quest’invisibile forza che sembra dover uscire dallo schermo da un momento all’altro, a sferzare l’ultimo colpo è il magistrale finale al femminile: una pioggia di sangue (non è una metafora!) contorna lo scontro finale ultra gore tra l’ultima sopravvissuta e il demone incarnato, una lotta a suon di motosega che si conclude con un botta e risposta ultra tamarro.
Ma non si può rimproverare Alvarez per questo, che ci mostra uno smembramento degno di rimanere nella storia del cinema horror, 95000 litri di sangue ben spesi. Alvarez con, La casa, ha realizzato un horror perfetto che per assurdo pecca proprio nella sua perfezione: l’occhio dello spettatore viene rapito dall’estetica della barbarie ma allo stesso tempo tutto ci appare molto freddo e distaccato rispetto al film del 1981. La ciliegina sulla torta è il cameo di Bruce Campbell che, dopo i titoli di coda, si volta verso gli spettatori dicendo “Groovy!”.