RomaFF11 – Fritz Lang: recensione del film sul leggendario regista
Fritz Lang è un film del 2016 diretto da Gordian Maugg e basato sulla vita e sulla carriera dell’omonimo leggendario regista, autore di capolavori assoluti della cinematografia mondiale come Metropolis, Una donna nella luna, I nibelunghi, Furia, Il grande caldo e M – Il mostro di Düsseldorf. Proprio la genesi di quest’ultima pellicola è il tema portante di Fritz Lang e lo spunto di partenza per una riflessione sul rapporto del regista con la violenza insita nel genere umano. Il film è stato inserito nella selezione ufficiale della Festa del Cinema di Roma 2016.
Ci troviamo nel 1930, con il già affermato regista Fritz Lang (Heino Ferch) in cerca di ispirazione per il suo primo film sonoro. Il cineasta decide di seguire in prima persona il caso che diverrà poi il soggetto del suo film del 1931 M – Il mostro di Düsseldorf, ovvero la scia di sangue lasciata in Germania da un misterioso assassino e stupratore seriale di donne e bambini. Vivere a così stretto contatto con l’orrore e la violenza diventa per Lang un’occasione per riconsiderare il suo stesso rapporto col male e per ricordare la sua prima moglie Lisa (Lisa Friederich), deceduta in circostanze mai del tutto chiarite prima che il cineasta sposasse la sua seconda consorte e assidua collaboratrice Thea von Harbou (Johanna Gastdorf).
Fritz Lang: dalla sguardo dietro la macchina da presa al soggetto principale davanti alla stessa
Dal seminale 8½ di Federico Fellini in giù, la storia del cinema è piena di pellicole che hanno fatto dell’indagine sul mestiere del regista il proprio tema principale, traendo spunto dal rapporto fra vita reale, finzione e professione per riflessioni sulla vita e sull’animo umano. Con Fritz Lang, Gordian Maugg segue questa virtuosa scia, non limitandosi a mettere in scena il ritratto di una colonna portante del cinema di ogni tempo, ma legando il processo di creazione di una delle sue opere più celebrate e apprezzate a una profonda analisi sul suo tema portante, ovvero il modo con cui la follia e la violenza si annidano nell’animo umano e le conseguenze che esse portano.
Girando con un ruvido bianco e nero, che dà profondità e realismo alla storia, Gordian Maugg ci guida in un torbido viaggio nella Germania degli anni ’20 e ’30, dove gli istinti più brutali dell’animo umano prendono inesorabilmente il sopravvento sui pochi momenti di luce e speranza e sulla maestosità di una delle più grandi pellicole di sempre, continuamente richiamata da diverse variazioni del suo indimenticabile e caratteristico tema musicale. Il mito Fritz Lang passa così dall’essere lo sguardo quasi divino dietro alla macchina da presa al diventarne il soggetto principale. Non stiamo però parlando di una ovattata e immacolata agiografia, ma di una pellicola che rifugge la retorica e l’incensazione, mettendo in mostra tutti i vizi e i difetti dell’artista, e andando a indagare anche i meandri più reconditi della sua psiche.
Messo di fronte all’orrore più puro e irrazionale generato da un uomo che senza motivo alcuno compie efferati omicidi e le più disparate sevizie a donne e bambine, Lang ripercorre a ritroso la sua stessa esistenza, analizzando così il suo stesso rapporto con la violenza e il suo passato colmo di oscuri e irrivelabili segreti.
Non conosciamo quanto siano approfondite le ricerche compiute dalla troupe e dal regista in preparazione a questo film, ma il ritratto che ci viene fornito di Fritz Lang non è né roseo né lusinghiero, anche se determinante per comprendere meglio le tematiche da lui affrontate nel corso della sua memorabile carriera. Non mancano inoltre alcuni piccoli ma decisamente inquadrati riferimenti all’allora nascente nazismo, che contestualizzano la brutalità della pellicola all’interno di un quadro di cui conosciamo le tristi conseguenze.