RomaFF11 – Lion: recensione del film con Nicole Kidman e Rooney Mara
Lion è un film di Garth Davis, presentato alla Festa del cinema di Roma, interpretato da Dev Patel, Sunny Pawar, Nicole Kidman e Rooney Mara. La pellicola è tratta dall’autobiografia di Saroo Brierley “La lunga strada per tornare a casa”.
Il protagonista, nato Sheru Munshi Khan, è un bambino che vive in un sobborgo del Khandwa, parte dell’India rurale e povera, a fine anni ’80. Saroo è molto sveglio, lavora per aiutare la madre e la sorellina, assieme al fratello Guddu. La mamma lavora in una sorta di vallata dove spaccano le pietre, mentre lui e il fratello si muovono nelle vicinanze, come possono, per racimolare del carbone e venderlo in cambio di cibo. Un giorno Saroo parte per affiancare nel lavoro Guddu, alla stazione di Ganesh Talai, ma il fratello, rendendosi conto che non avrebbe retto i ritmi frenetici e la fatica, lo lascia lì dormiente con la promessa di tornare a prenderlo.
Saroo si sveglia solo, non ricorda dove si trova, è troppo piccolo per poter attendere e sperare che possa arrivare qualcuno, non sa quanto tempo possa essere passato quindi si alza e lo cerca, prova a gridare il suo nome ma nulla. Inavvertitamente sale su un treno fermo a quel binario cercando aiuto, ci si siede e si addormenta. Un sonno ingestibile e profondo, tant’è che Saroo si renderà conto troppo tardi che il treno è partito, che da quello non può scendere e che l’unica fermata che farà sarà a Calcutta, più di 1500 km di distanza.
A Calcutta andrà incontro a tantissime difficoltà. Sarà spaesato e nonostante tutto avrà un’abilità incredibile nel sapersi divincolare dalle situazioni più oltraggiose. Proveranno a rapirlo, a schiavizzarlo, fino alla reclusione in un orfanotrofio. In quel posto vede che in tantissimi sono nelle sue condizioni, parla con un’assistente sociale che lo informa che una sua foto è stata pubblicata sul quotidiano di Calcutta e che nessuno ha mai risposto. Ergo nessuno lo cerca. Nonostante la sua insistenza nel dichiarare il nome del fratello e l’erroneo nome del suo villaggio, parlando hindi e non bengalese, nessuno coglie la sua provenienza.
Lion: una pellicola empatica, vivida, reale
Lion ha un’introduzione incredibile, un esordio con splendide panoramiche sulle distese montuose e le vallate della sua regione che si assemblano perfettamente con la sua persona, Saroo è un bambino molto espressivo, fragilissimo che osserva questa metropoli a cui si oppone cioè Calcutta, caotica, distruttiva e distratta.
Ebbene Saroo non essendo mai trovato dalla sua famiglia, verrà affidato ad una coppia australiana, Sue e John (Nicole Kidman e David Wenham) che lo accoglie nella sua casa, mostrandogli un mondo più pacato e tranquillo in cui vivere e crescere serenamente. Qualche anno dopo i suoi genitori acquisiti adottano un altro bambino, problematico fin dagli inizi, Mantosh, a cui Saroo farà da fratello maggiore e da scudo dal mondo.
Gli anni passano, siamo nel nostro secolo, nel 2008, Saroo è grande, un uomo nuovo, anzi rinnovato. Ha appena ottenuto una laurea in gestione aziendale e, mentre segue un corso per la gestione di un albergo, conosce Lucy (Rooney Mara) con cui stringe un forte legame fin da subito. Saroo è un uomo molto forte, sicuro di sé, raggiante e molto affascinante, conosce gli amici di Lucy e alcuni sono indiani come lui. Ad una cena con loro riprova la sua cucina tipica, e tra le tante trova i jalebi, dolce tipico della sua regione. Quella visione, quel sapore, come le madeleine per Proust, scatenerà un turbamento insostenibile, una nostalgia impagabile che lo attanaglierà fino al momento in cui prenderà coscienza di dover fare una cosa e una soltanto: tornare a casa dalla sua vera famiglia.
Lion gode del talento di Sunny Pawar, una gemma rara made in India
Lion ha una fortuna immane nel vedere interpretare Saroo, questo moderno Oliver Twist, dal protagonista di The Millionaire, Dev Patel e da Sunny Pawar, un piccolo talento, una gemma rara made in India.
Il based on a true story sembra una sorta di salvacondotto, ogni difetto di trama, ogni falla narrativa sembra da non ispezionare troppo quando la pellicola è targata come vera e pura storia di persone esistenti. Ma considerato che probabilmente quel destino travagliato non sarebbe stato sopportabile da tutti e quanto sia stato arduo doverlo raccontare, qualche incertezza esplicativa può essere perdonata. Su alcune cose si può soprassedere anche se la storia non è propria drammatizzata da Saroo in persona ma da Luke Davies.
Partiamo dai personaggi: alcuni ruoli sono quasi totalmente assenti e insulsi, come quello del fratello adottivo Mantosh, o della stessa Rooney Mara, monosillabica e inutile come i coriandoli a Natale: sforna un film al minuto, almeno portasse a casa recitazioni ineccepibili capiremmo i motivi per cui scritturarla, ma qui, alla Festa del cinema di Roma almeno, di realmente indimenticabile ha portato solo qualche scena di nudo. Nicole Kidman, dalla sua, porta a casa un’interpretazione piccolo ma che non passa inosservato, un ruolo secondario che non sarà il migliore della sua carriera ma che difende bene e incarna egregiamente.
Nella seconda parte, Lion si perde in una narrazione prevedibile e sciatta
Altro difetto determinante: prima e seconda parte della pellicola, ovvero quando Saroo è un bambino perso a Calcutta e poi direttamente lo stesso ormai grande e laureato, sono divise da una resa molto differente. Le due realtà sono così nette, giustamente, ma la prima è mostrata in modo dettagliato, mentre la seconda parte viene narrata in modo abbozzato.
Saroo non è mai mal interpretato, da nessuno dei due attori. L’errore sta nel cattivo uso del crescendo, che sembra subire un’interruzione nel mezzo, proprio mentre la storia prova ad incanalare sempre più l’empatia e l’attenzione del pubblico. Così facendo, invece di ottenere lo stesso spessore iniziale, si perde in una trattazione prevedibile e sciatta.
Lion si trova ad essere una bella storia al netto di tutte le défaillance strutturali, ma a tratti perde la sua luce a causa della cattiva gestione dell’economia globale della narrazione.
Ed è così che si finisce, le storie, belle e brutte che siano, se non si sanno narrare perdono la loro carica emotiva. L’empatia che genera la pellicola è vivida, è reale, soprattutto nella prima parte del film che è davvero straordinaria. Poche parole, solo visioni, sguardi, orizzonti, è tutto al proprio posto, è tutto giusto, tecnicamente parlando. Lo spettatore è davvero li pronto a fare il tifo per un pronto ritorno in suolo patrio per il dolce e affascinante Saroo, ed è sempre li che lo attende e vede lui stesso immaginarsi in quelle strade, in un incrocio tra passato e presente, il binario di Ganesh Talai, la sua famiglia, quella d’adozione e quella natia, l’oceano che lo accoglie come un grembo, australiano e indiano, tocca tante terre, tante spiagge ed è sempre frustrante e desolante possedere nel cuore tanti luoghi e non trovarsi mai a casa.