Solo: le anticipazioni della minifiction con Marco Bocci dalla conferenza stampa di Roma
È stata presentata oggi alla stampa romana la prima puntata di Solo, la minifiction in quattro puntate prodotta da Tao Due per la regia di Michele Alhaique e in onda su canale cinque in prima serata a partire dal 9 novembre.
Solo narra le vicende di Marco (Marco Bocci) un operatore sotto copertura dello SCO alle prese con il compito di infiltrato in una famiglia potente della ‘ndrangheta calabrese; Marco riuscirà a conquistare la fiducia della famiglia di criminali, rischiando la propria vita ed i propri affetti per servire lo Stato nella lotta contro la criminalità organizzata calabrese.
Alla conferenza stampa che ha seguito la proiezione erano presenti il cast ed alcue figure di spicco nella lotta contro la ‘ndrangheta. Sentiamo cosa hanno dichiarato alla stampa e come hanno risposto alle domande dei giornalisti presenti all’incontro.
Federico Cafiero De Raho (magistrato, procuratore della Repubblica di Reggio Calabria):
La ‘ndrangheta si fonda su rapporti medioevali, basati sulla Signoria Assoluta nei confronti delle persone ed è causa di un inquinamento dell’economia nazionale ed europea, dati i traffici di denaro che implica (droga, appalti, ecc).
Quello che mi ha colpito della fiction Solo è proprio come descrive accuratamente l’ infiltrato, colui che rischia momento per momento la propria vita, come spesso accade nelle nostre indagini, correndo pericoli al limite dell’insostenibile. Il nostro maggior nemico, nella lotta contro la criminalità organizzata, è l’inquinamento delle istituzioni che invece di contrastare la ‘ndrangheta la sostiengono. Un altro aspetto della fiction che ho apprezzato è il modo in cui affronta l’aspetto familiare, si vede la figlia del capo clan costretta a vivere in schiavitù, in quanto donna e quindi priva di diritti. Tutto ciò ha una corrispondenza con la verità, una ragazza come Agata (figlia ribelle del boss in Solo, n.d.r.) spesso o viene uccisa o finisce per collaborare come testimone.
Solo mostra la figura dell’infiltrato come emblema di quella parte dello Stato che, rischiando ed impegnandosi, riesce ad ottenere dei risultati contro il crimine. È un uomo letteralmente “solo” di fronte al male da combattere, senza nessuna possibilità di relazionarsi con l’esterno perché nessuno è estraneo al controllo della ‘ndrangheta in Calabria e proprio su questo bisogna combattere. Sono molto felice di questo prodotto televisivo.
Raffaele Grassi (Questore di Reggio Calabria):
Grazie per la possibilità di vedere una fiction così aderente alla realtà. Questa prima puntata offre vari spunti di riflessione. Complimenti innanzitutto a Marco Bocci, che è molto convincente. Ovviamente le dinamiche reali sono un po’ diverse ma Marco rappresenta benissimo i nostri operatori soprattutto a livello dei conflitti interni. Quando dirigevo lo SCO, prestavamo grande attenzione alla formazione di questi agenti, strumento straordinario che viene utilizzato nei casi di estrema rilevanza, a causa dei tanti, troppi troppi pericoli delle loro missioni.
La puntata traccia temi di assoluta rilevanza, la figura della donna di ‘ndrangheta che conosce tutti i retroscena dell’organizzazione, che richiama le “sorella d‘omertà” un grado che viene riconosciuto alle donne che si occupano degli aspetti logistici del sistema. La base familistica di queste organizzazioni criminali è un’ ulteriore difficoltà per gli agenti sotto copertura, che devono infiltrarsi nei legami di parentela, entrare letteralmente a far parte della famiglia. Solo è una fiction molto convincente e pertinente.
Giovanni Tizian (giornalista de L’Espresso):
Finalmente una fiction sulla ‘ndrangheta, un’organizzazione difficile da capire, respingente rispetto alle altre mafie a partire da nome ostico da pronunciare. Sulla mafia calabrese si sa pochissimo, la fiction la affronta da due punti di vista positivi: lo Stato e non il criminale, e la figura di una donna e di una ragazza che prova a rompere quelle regole dell’omertà alla base del tutto, cosa che sta avvenendo in questo momento in Calabria. Ci sono molte figlie che si ribellano ai padri, ai boss.
Dopo la strage di Duisburg, in Calabria sono stati mandati i migliori operatori per affrontare il fenomeno e in Solo si vede questo impegno. Ci troviamo alle prese con un territorio in cui non c’è più linea di demarcazione fra bene e male e allora capita (e lo dicono le ultime indagini) di incontrare i cosiddetti “invisibili”, persone molto discrete e riservate che fino a poco tempo fa tenevano le fila del gioco criminale (avvocati, politici, professionisti). I boss stanno intorno a loro non potendo muoversi ed esporsi in prima persona, mandano avanti loro per ottenere il massimo dalla loro attività criminale.
Se non si prende atto che la forza della mafia calabrese si sviluppa su più livelli, non si arriverà mai ad una completa vittoria. Questa mini fiction può aiutare i giovani a pensare alla possibilità della svolta culturale, a non abbassarsi agli invisibili, a non accettare il compromesso. La cultura in questo è più forte della repressione delle forze dell’ordine.
Michele Alhaique:
La serie non nasce con la pretesa di fare un’analisi sociologica di un mondo criminale ma solo un poliziesco, quindi ciò che avete detto innalza il suo valore e mi lusinga. Solo diventerà sempre più avvincente, vado fiero del mio lavoro mio e di quello della mia troupe. Non ci sono molti attori in Italia con la forza di Marco Bocci, nell’interpretare un eroe positivo ma con molto conflitti interiori.
Complimenti anche a Peppino Mazzotta, un antagonista ambizioso ma che nasconde fragilità, Carlotta Antonelli, figlia del boss, emblema della donna che tenta di uscire dalle dinamiche criminali perché non le ha nel dna, a Diane Fleri, che interpreta un ruolo molto particolare, accompagnando in missione l’uomo che ama e finendo per entrarci in conflitto. Renato Carpentieri, che racconta i legami familiari di sangue rendendoli tangibili ed umani.
Marco Bocci:
Sono emozionato e lo sono ancora di più per le parole che avete detto, perché sono una conferma del lavoro che volevamo fare, mettere in scena una verità, non degli eroi ma degli esseri umani pieni di difetti e di paure, che si impegnano per raggiungere un obiettivo nobile. Michele dava a tutti noi ogni giorno l’idea di star creando qualcosa di importante, riusciva a coinvolgere tutta la troupe, ogni tassello ha contribuito in modo attivo, vivo, emozionandosi, eravamo un gruppo forte che perseguiva lo stesso obiettivo.
Avete più volte ribadito che dietro a Solo c’è una storia vera. Potete dire qualcosa di più?
Ovviamente no, non possiamo rivelare l’identità dell’uomo al quale ci siamo ispirati ma Marco rappresenta uno dei tanti agenti adibiti a questo tipo di attività. Ci siamo ispirati ad una storia recente, comunque.
Di ‘ndrangheta avete detto anche voi, se ne parla molto poco. È qualcosa che incide negativamente sul vostro lavoro?
Cafiero: è la ‘ndrangheta a volere che se ne parli poco. Non esiste una testata nazionale che arrivi in Calabria, si leggono solo i giornali locali che ovviamente dicono quello che vogliono. Un territorio dimenticato che la ‘ndrangheta non vuole venga toccato, coste intere paradisiache che non vogliono essere contaminate dal progresso e dalla conoscenza. Fatto molto grave che si è cominciato però a modificare da un po’ di tempo, anche se non è ancora percepibile. Se ne parla in programmi che vengono trasmessi in fasce orarie con poca audience ed è un altro punto in favore per la ‘ndrangheta.
Mostrare il punto di vista dei giusti in tempi di Gomorra: come fare per essere comunque incisivi, pur parlando di buoni?
Michele Alhaique: Solo vuole far scoprire il mondo della ‘ndrangheta allo spettatore attraverso le proprie paure, le proprie emozioni. Attraverso l’immedesimazione. Il mio è un poliziesco, non un crime, un singolo che entra in questa realtà con le sue sensazioni che divengono quelle del pubblico.
Marco, cosa ti ha lasciato l’esperienza di girare Solo?
Un impegno molto più profondo, questa serie mi ha fatto conoscere alcune dinamiche reali, di persone che vivono davvero queste dinamiche spesso crudeli (e lo vediamo nella fiction), senza cercare di mitizzare i cattivi, mai. Mi ha dato la possibilità di conoscere molto più da vicino queste persone che lavorano per combattere il male, mi sono reso conto dell’importanza, della difficoltà e dell’impegno di questi operatori.
Nella pratica reale della lotta contro la criminalità organizzata, è davvero possibile un controllo delle “mele marce”?
Raffaele Grassi: scovare eventuali colleghi collusi con il sistema è uno degli impegni primari, abbiamo gli anticorpi per farlo, non si fanno sconti.
Marco, come ti sei preparato a questo ruolo? Ti sei ispirato a qualche altro personaggio cinematografico, tipo Di Caprio in The Departed?
In realtà no, lo abbiamo nominato come film per certe dinamiche comuni ma nella pratica mi sono preparato principalmente cercando di mettere in scena più realtà possibile. Ho fatto un lavoro in sostanza molto semplice, ho riportato ogni sensazione del mio personaggio a me stesso chiedendomi io cosa avrei fatto, confrontandomi costantemente con Michele.