Il vigile: recensione
Se doveste dire il primo nome che vi viene in mente quando si parla di Il vigile, quale sarebbe?! Bè, quasi sicuramente, nella maggior parte, anzi, in tutte le risposte ne comparirebbe solo uno, quello di Alberto Sordi. Nessuno potrebbe mai mettere in discussione il ruolo di protagonista assoluto che l’attore ricopre nel film, diretto da Luigi Zampa, del 1960, anno importante nella storia del cinema nazionale che vede l’uscita, tra l’altro, anche del capolavoro di Federico Fellini La dolce vita. Dotato di esuberanza indomabile, Sordi è indimenticabile in ognuno dei suoi ruoli. L’appellativo di Albertone, attribuitegli da Fellini, vuole proprio sottolineare la tendenza dell’attore ad eccedere nella recitazione, a presentarsi come implasmabile secondo le intenzioni del regista col quale lavora, ad andare di istinto.
Sordi, nella pellicola di L. Zampa, è nei panni di Otello Celletti, disoccupato che esce di casa ancora in giacca da camera e viene schernito da tutti i frequentatori del bar di una cittadina di provincia, a pochi chilometri da Roma, in cui vive. Viene in mente una scena famosa di I vitelloni (1953), diretto da Fellini, nella quale l’Albertone nazionale fa la pernacchia ai lavoratori che incontra in strada, quando in Il vigile è lui, senza un’occupazione, a ricevere la presa in giro. Il figlio di Otello, Remo, bravissimo meccanico e grande lavoratore, è sicuramente più responsabile del padre, il quale ha tutta l’aria di un adulto non ancora cresciuto. Quest’ultimo, in un momento, spiega al piccolo come funziona la patria e il perché della sua condizione:
Otello: Risaliamo al concetto di patria…Remo, tu sai dirmi cosa è la patria?
Remo: No
Otello: Bè te l’ho dirò io! La patria è quella cosa che ti chiama sotto le armi, tu la servi, rischiando la vita per undici anni, come ho fatto io. Poi, quando le guerre sono finite, ti rileva la divisa e ti rimanda a casa disoccupato e tu senza lavoro come mangi? Rubi…e se rubi, la patria che fa?
Remo: Te arresta..
Otello: e tu vuoi che tuo padre va in prigione?
Remo: No
Otello: e allora io dico “cara patria, dammi un lavoro e dammelo!”
Subito dopo, arriva una lettera dal comune, con la quale Otello viene avvisato che è disponibile un posto come uomo di fatica ai mercati generali. Tutta la famiglia è entusiasta della notizia. Hai visto che la patria s’è ricordata de te? – esclama felice il figlio Remo, ma il protagonista non è per niente soddisfatto. Questo, infatti, ha già presentato la domanda per entrare nella polizia municipale ed è solo li che ha intenzione di lavorare.
Grazie ad un bel po’ di faccia tosta ed insistenza col sindaco, interpretato da Vittorio De Sica, Otello riesce finalmente a farsi assumere come vigile motociclista del comune. Con la nuova divisa, inizia subito ad abusare del proprio potere, più per darsi un tono che per far rispettare davvero le regole. All’incrocio di Porta Maggiore, in poco tempo,il protagonista, agitando a caso la paletta, genera il panico tra gli automobilisti. E se un vigile come Albero Sordi dirigesse il traffico a Roma, come vanno le cose oggi e all’ora di punta? Il sindaco sarebbe, forse, costretto a fronteggiare la situazione con un ordinanza, per avvisare i cittadini di abbandonare la città? La domanda sorge spontanea.
Otello, per giunta, in un giorno di servizio ha un ulteriore fortuna: la possibilità di aiutare la famosa attrice Sylva Koscina, con la macchina in panne. Il protagonista, galante e affascinato dalla bellezza della donna, la lascia andare ed evita di farle una multa, anche se questa è senza documenti. La sera dello stesso giorno, l’attrice, ospite a Il musichiere, ringrazia Otello davanti a diciottomila telespettatori e rileva anche il perché del suo ringraziamento fuori programma. Il sindaco, richiamato dal Prefetto, rimprovera il protagonista, ma…Come andrà a finire? Il nostro vigile Celletti troverà il modo di vendicarsi del rimprovero? E se in seguito, Otello, decidesse di darsi alla politica?
Il film si ispira a un fatto realmente accaduto nel luglio 1959, quando il vigile Ignazio Melone fa una multa per sorpasso vietato al questore di Roma, Carmelo Marzano. Quest’ultimo, indignato per non essere stato riconosciuto e di conseguenza agevolato, ricatta l’incorruttibile vigile, mettendolo al corrente di alcune cose cha ha scoperto riguardo la sua famiglia e sua sorella, che a Milano fa la prostituta.
Nel cast, oltre ad Alberto Sordi e Vittorio De Sica, già nominati, figurano Marisa Merlini, nel ruolo della moglie di Otello, Franco di Trocchio, il piccolo Remo, Sylva Koscina e Mario Riva, nella parte di se stessi, Vincenzo Talarico, l’avvocato difensore del protagonista, Riccardo Garrone, il tenente dei vigili e Nando Bruno, cognato di Otello.
Ci sarebbe molto da dire su l’accoppiata, indubbiamente vincente, di De Sica e Sordi. Negli anni cinquanta, al ruolo di Albertone, divoratore di spaghetti ai tempi di Un americano a Roma (1954) di Steno, si oppone il ruolo interpretato da De Sica, maresciallo dei carabinieri che, a differenza di Sordi, è costretto a mangiare, nel film Pane, amore e fantasia (1953) di Comencini. Con la pellicola di L. Zampa, agli inizi degli anni sessanta, i due attori si trovano a lavorare insieme e ad interpretare, nello stesso film, personaggi di estrazione sociale agli antipodi: Sordi, rappresentante dell’italiano medio comune, De Sica, nel ruolo dell’uomo di potere. L’Albertone nazionale sembra sopraffare e avere la meglio anche sulle capacità istrioniche del grande De Sica.
Il film, con ironia, ci fornisce l’immagine di un Paese in cui tutti, dai politici alla gente comune, hanno i proprio scheletri nell’armadio e questi tornano utili a chi vuole architettare ricatti e uscire in fretta e pulito dai guai. La storia insegna, dopotutto, che il più delle volte ha la meglio chi è più furbo. Possiamo guardare la pellicola di Zampa e morire dal ridere a causa dell’esuberanza di Sordi o volgere uno sguardo critico al film e giungere alla conclusione, purtroppo, che l’Italia di ieri non è, dopotutto, troppo distante dall’Italia di oggi. Quell’Italia che film contemporanei trattano, con altrettanta ironia, per denunciarne, in fondo, le stesse inestirpabili ingiustizie.