TFF34 – Mercenaire: recensione del film scritto e diretto da Sacha Wolff
Mercenaire è il film d’esordio di Sacha Wolff, presentato al Festival di Cannes del 2016 nella sezione Quinzaine des Réalisateurs e poi inserito nella sezione Festa Mobile del Torino Film Festival 34. Il cast è composto prevalentemente da attori alla prima esperienza cinematografica, fra cui lo stesso protagonista Toki Pilioko.
Mercenaire: un vibrante racconto di formazione
Soane (Toki Pilioko) è un imponente ragazzo proveniente dalla colonia francese dell’isola di Wallis, dove vive una vita povera e segnata dal controverso rapporto col padre, che non esita a infliggergli punizioni corporali e a condizionarne in ogni modo la vita. Su di lui, e in particolare sulla sua imponente stazza fisica, cade l’occhio del procuratore Abraham (Laurent Pakihivatau), che, fiutando un buon affare, lo convince a trasferirsi in Francia per diventare un giocatore di rugby. Soane si ritrova così catapultato in un mondo completamente diverso dal suo, dove scoprirà il prezzo da pagare e i compromessi da accettare per farsi strada nella vita e nello sport professionistico.
L’opera prima di Sacha Wolff stupisce per l’intensità e la crudezza con cui mette in scena un vibrante racconto di formazione, senza risparmiarsi profonde riflessioni sul colonialismo, sull’integrazione e sullo squallore di alcuni risvolti dello sport professionistico e semiprofessionistico. Fra gli incantati paesaggi dell’isola di Wallis e il grigiore della provincia francese si snoda una storia triste e amara, che vede il protagonista di Mercenaire continuamente sfruttato per la sua prestanza fisica e costretto a vivere di lavoretti extra sportivi per assicurarsi una vita dignitosa. Un’esistenza fatta di compromessi: la massa muscolare aumentata in maniera forzata e innaturale, controlli antidoping aggirati, piccoli e grandi scherzi da parte dei compagni di squadra a causa delle sue origini, addirittura un figlio verosimilmente non suo accettato per amore e senso di responsabilità.
Mercenaire è una metafora della riscoperta di se stessi e della legittima libertà di ognuno di noi
Mercenaire diventa con il passare dei minuti una metafora della riscoperta di se stessi e della legittima libertà di ognuno di noi, mostrandoci la brusca, forzata ma necessaria crescita di Soane, che riscopre la sua indole guerriera per riappropriarsi della propria vita e per combattere a viso aperto contro i soprusi, gli sfruttamenti e un passato che torna prepotentemente a presentare il conto. Un’opera complessa e ricca di sfaccettature, mirabilmente gestita dall’esordiente Sacha Wolff, che dimostra un’impressionante maturità sia dietro la macchina da presa che nel gestire i tempi e lo svolgimento del racconto. Il cineasta gioca sui contrasti, contrapponendo le cruente immagini di violenza e le realistiche sequenze sul campo di gioco a pochi ma ben misurati scampoli di tenerezza e purezza, come il disperato bisogno di amore del protagonista o lo struggente e poetico finale, che chiude perfettamente la parabole del racconto.
Mercenaire ha anche il pregio di fare luce sul lato oscuro dello sport, fatto sì di sudore, sacrifici e fango ingoiato sul campo di allenamento, ma anche di fazioni di spogliatoio, procuratori disposti a tutto per incassare la commissione, medici sociali più interessati a produrre elisir per migliorare le prestazioni che alla salute dei propri atleti e società che tralasciano obiettivi agonistici ed etici in nome della mera caccia al profitto. Un ritratto sconfortante e malinconico, che dona ulteriore profondità e realismo al racconto.
Mercenaire è una storia di soprusi e sopraffazione e di lotta per la propria dignità e umanità, che ci ricorda dell’importanza di reagire alle ingiustizie e di credere nelle nostre capacità anche nei momenti più bui. Un folgorante esordio cinematografico di un regista estremamente promettente, da seguire con attenzione e curiosità.