3%: recensione della prima stagione della serie tv Netflix
3% è una serie tv brasiliana e l’idea di base che la caratterizza ci fa pensare subito a Hunger Games. Il 25 novembre 2016, su Netflix, è stata pubblicata la prima stagione (8 puntate da 45 minuti) della serie tv non molto sponsorizzata, ma che diversi giornali hanno comunque notato.
Il mondo in 3% è oggettivamente un brutto posto. L’ambientazione che ci viene mostrata è un’enorme favela, chiamata Entroterra, dove la popolazione è poverissima e senza speranza. O meglio, con una sola speranza: il Processo. Il Processo è l’occasione che viene concessa una sola volta nella vita ad ogni abitante dell’Entroterra al compimento del ventesimo anno d’età. Chi vuole può iscriversi e partecipare.
Si tratta di una serie di prove che, se superate, consentiranno al 3% degli iscritti di coronare il sogno di una vita migliore. Coloro che riusciranno a superare le prove raggiungeranno l’Offshore (o Maralto in portoghese, lingua originale della serie), un’isola felice in mezzo all’Oceano. All’Offshore posso accedere soltanto coloro che, attraverso il Processo, vengono riconosciuti come meritevoli.
Solo il 3% dei candidati riuscirà a raggiungere l’Offshore
La serie inizia mostrandoci l’inizio del Processo. Un corteo di giovani si avvia verso l’edificio dove tutta la procedura si svolge, nella speranza di non tornare mai più a casa. La prima prova è un’intervista, apparentemente innocua, ma che in realtà eliminerà moltissimi concorrenti. Qui iniziamo ad identificare coloro che saranno i nostri protagonisti: Michele, Fernando, Joana, Rafael, Marco spiccano subito in mezzo al mucchio e passano la prima prova.
Ezequiel (João Miguel) è l’altro personaggio che emerge: con i vestiti immacolati, i capelli lisciati e la schiena dritta si propone in un’aura si imparzialità. Lui è il burattinaio: colui che guarda dall’alto il Processo da lui ideato considerandolo il perfetto mezzo di selezione. João Miguel è bravissimo nell’interpretazione del suo personaggio di cui, pian piano, svela luci e ombre.
Al pari di quella di João Miguel si possono considerare ottime le interpretazioni degli altri attori: non ci sono squilibri nel gruppo, almeno non troppo accentuati. Bianca Comparato (Michele), Michel Gomez (Fernando), Vaneza Oliveira (Joana), Rodolfo Valente (Rafael) e Rafael Lozano (Marco) si amalgamano bene fra di loro riuscendo a mantenere alta la curiosità dello spettatore nei confronti di ognuno dei loro personaggi.
3% è un’altra ottima prova alla regia per César Charlone dopo City of God
Sì perché, mentre la personalità di Katniss Everdeen in Hunger Games è piuttosto lineare, in 3% i personaggi cambiano: cambiano idea sulle cose, non si svelano mai davvero del tutto, non sappiamo mai se quello che hanno appena affermato sia effettivamente il loro pensiero.
Ognuno di loro ha una doppia faccia (quando non tripla): scopriamo che Michele è in realtà una rivoluzionaria affiliata a la Causa, un gruppo che vorrebbe sovvertire l’ordine vigente per dare a tutti gli abitanti dell’Entroterra una vita dignitosa. Fernando, figlio disabile di un pastore, fermamente convinto che il Processo sia giusto, alla fine perde ogni certezza. Marco, rampollo di una famiglia famosa per l’innata capacità dei suoi membri di superare il Processo, passa dall’essere un giovanotto perbene al minacciare e uccidere i suoi compagni solo per avere del cibo.
Insomma nessuno di loro è mai come sembra ad una prima occhiata. Le prove del Processo però li smaschereranno uno ad uno. Lo stesso Ezequiel sarà smascherato da Aline, funzionaria interpretata dalla bravissima (e bellissima) Viviane Porto. Incaricata di indagare su lui, Aline porta alla luce i segreti di Ezequiel, segreti legati al senso di colpa per una moglie suicida che lui non era stato in grado di proteggere e aiutare.
3% è la serie che i fans di Hunger Games stavano aspettando
Come abbiamo già detto a proposito di questa serie, non si può non paragonarla ad Hunger Games. Il film che ha reso famosa Jennifer Lawrence proponeva prove di sopravvivenza in ambienti e condizioni estreme. In 3% invece non siamo nella giungla, la giungla al massimo è fuori, nell’Entroterra. Le prove si svolgono in un futuristico e immacolato palazzo bianco e per la maggior parte non si tratta nemmeno di prove fisiche.
Le prove sono di tipo logico, psicologico e sociologico, ed è proprio questo che le rende interessanti: osservati dai giudici, i ragazzi che si sottopongono al processo sono chiamati a usare il cervello, a lavorare in gruppo senza generare conflitti o a risolverli. In alcuni casi (come ad esempio nella quarta puntata) i conflitti deflagrano in maniera insanabile e ci mostrano la vera personalità dei protagonisti.
Ogni valore viene messo in discussione mentre si avanza nelle varie prove. Alla fine anche lo spettatore, che all’inizio vede il Processo come una macchina perfetta, inizia a nutrire dei dubbi, sia sul meccanismo sia su coloro che lo dirigono.
Questa sensazione viene confermata alla fine, quando tutti i nodi giungono al pettine, quando i vari personaggi svelano l’umanità che alberga in loro o l’assenza di quest’ultima. Alcuni, il 3%, saranno considerati meritevoli perché colpevoli degli stessi peccati di loro giudici, altri saranno rispediti nel loro inferno personale nell’Entroterra.
Lo stesso Offshore mostra la sua disumana perfezione: coloro che accedono vengono sterilizzati. L’accesso ad una vita migliore avviene solo per merito e il merito non si trasmette in maniera ereditaria. Una vita dignitosa viene concessa solo a chi supera il Processo. L’humanitas resta appannaggio di coloro che vivono nell’Entroterra: pur vivendo come bestie mantengono intatti valori e sentimenti più puri.
Il perfetto Offshore rivela a poco a poco tutta la sua disumanità
La serie tv ideata da Pedro Aguilera e diretta da César Charlone (che aveva già dato ottima prova di sé nel 2002 con City of God) è di alta qualità. La regia riesce a tenere lo spettatore sulle spine suscitando la sua curiosità in maniera constante fino all’ultima puntata. Il cast, poco o per nulla conosciuto in Italia, regala delle interpretazioni molto interessanti e convincenti. Nello specifico, si gode ancor più delle prove attoriali approfittando della versione in lingua originale offerta da Netflix.
Il basso budget con cui la serie è stata realizzata si riflette in parte sulla fotografia e sulle scenografie. Gli effetti speciali sono pochi, ma in un’epoca in cui siamo abituati alla perfezione di questi ultimi, si nota subito la bassa qualità di quelli presenti in questa serie.
Charlone riesce nell’intento di creare una serie tv interessante e avvincente fatta di colpi di scena e atmosfere piuttosto inedite. Le otto puntate sono davvero piacevoli da guardare, la suspence creata dalla trama è ben dosata, quanto basta per voler vedere l’intera stagione. In sintesi: guardatela perché, nonostante la poca sponsorizzazione, merita!