C’era un cinese in coma: recensione del film di Carlo Verdone
C’era un cinese in coma è un film diretto e interpretato da Carlo Verdone con Beppe Fiorello, Anna Safroncik e Marit Nissen.
Ercole Preziosi è un manager, un agente di spettacolo e uno showman sempre a caccia di nuovi talenti che conduce a fatica un’agenzia di attori e saltimbanchi alla cui porta quotidianamente ne arrivano di ogni: spogliarelliste, ballerine, comici da bar, contorsionisti e sosia di attori celebri. Ma Preziosi è interessato alla comicità, a far nascere una stella, cerca un uomo che riesca a stravolgere anche lo stesso concetto di comicità, a partire dallo stare sul palco, al porsi con il pubblico come nuovo volto del panorama italiano.
C’era un cinese in coma comincia proprio da li, dal palcoscenico e da un concorso di bellezza, Miss regina di cuori, di cui Preziosi ne è il conduttore. All’improvviso, proprio sui battiti finali, mentre si stanno decidendo le sorti delle modelle, scoppia un temporale fortissimo che mette a dura prova tutto lo scenario e il percorso comico dello stesso Preziosi che tenta tra uno scoppio di una luce, senza ombrello e senza alcuna attenzione da parte degli spettatori di portare a termine la serata tra delusioni, sarcasmo del pubblico e urla di protesta che interrompono sul più bello la proclamazione della vincitrice Regina di cuori.
Così, dopo una serata disastrosa, Ercole si chiude in macchina con il suo autista, Nicola, un ragazzo affascinante che ha la fissa per le barzellette e, insieme, si raccontano di tutto un modo surreale, pieno di onnipotenze e irriconoscenze: lo spettacolo è un mondo presuntuoso e inautentico che ti porta in alto in attimo e con la stessa velocità di consuma, ti mastica e ti sputa. Nicola non è solo un autista, anzi, non nasconde di voler un giorno essere capace di tenere il palco come uno dei comici di spicco dell’agenzia di Ercole, Rudy Sciacca.
Assieme si congedano e tornano ognuno alle proprie case con il desiderio di farsi riscaldare dal tepore familiare. Ma al suo ritorno a casa Ercole trova un sentimento desolante ad accoglierlo. La moglie Eva e la figlia Maruska sono stanche del suo latitare e dei suoi ritorni a notte tarda. La sua assenza è diventata visibile e costante ma il lavoro è lavoro e l’agenzia non può restare ferma.
Dopo lo sconfortante concorso di bellezza Ercole presenzia ad una serata molto raffinata (che altro non è che una convention di piastrellisti) e porta la sua punta di diamante, Rudy, a intrattenere il pubblico con la sua comicità genuina e semplice. Ma Rudy non si presenta, la serata sembra essersi inesorabilmente bloccata ma Ercole ha un’intuizione.
Crede che finalmente sia arrivato il momento di mettere in gioco il suo asso nella manica, Nicola, che ha sempre desiderato stare sul palco e non hai avuto l’occasione per due motivi: nel suo repertorio ha solo barzellette e poi è un bel ragazzo, due cose che non vanno a braccetto con l’idea che ha Ercole della comicità pura.
Allora Nicola, da quel momento Nicky, si lancia, sconfigge le sue paure e intrattiene il pubblico in modo inusuale, fatto di una comicità dialogica, a tu per tu con il pubblico. Parla del sesso, del corpo, dei tabù e traccia un suo percorso che non era stato mai toccato da un comico che proclama la nascita di una nuova generazione di comicità, una comicità sexy, provocatoria, erotica ma non volgare.
Lo stile di Nicky funziona, ha sempre più successo e assieme al suo agente Ercole formano un duo granitico, mente e corpo, gestualità e mimica, la cui unione e riappropriazione di uno spazio che si inserisce tra l’avanspettacolo e il cabaret, ribalta in modo disatteso le sorti della sua agenzia e soprattutto della vita di Nicky.
Le serate sono tante, il lavoro aumenta e anche lo stress, le loro vite private sono attaccate ad un filo e lo stesso rapporto tra loro si logora. Nicky comincia ad ottenere le attenzioni di grandi manager e delle televisioni e non perderà l’occasione di buttarsi sul carro dei vincitori.
Prederà pessime decisioni, sarà ossessionato dalla propria immagine e porterà avanti vizi distruttivi che sconvolgeranno le vite di tutte le persone che avevano creduto in lui fin dall’inizio. Umiliazione, sdegno e tradimenti sono le ultime scorrettezze che Nicky dedicherà al suo unico amico Ercole, amico e agente che non troverà altro modo per fargli capire i suoi errori, e potersi riprendere la sua vita, che mettersi contro la sua stessa creazione, spingendolo sempre di più verso il baratro.
C’era un cinese in coma è un film sui rapporti amicali e lavorativi, sul modo in cui in certe situazioni si vengono a creare rapporti capovolgenti
C’era un cinese in coma è un modo rischioso ma efficace di proporre la comicità
C’era un cinese in coma è un film sui rapporti amicali e lavorativi, sugli egoismi e sul modo in cui in certi ambienti e in certe situazioni si vengono a creare rapporti capovolgenti, prima di grande lealtà e poi di tradimenti e irriconoscenze.
C’era un cinese in coma è diviso in due, una prima parte più leggera, ironica e che mostra il lato davanti e dietro il palco, fatto di personaggi bislacchi, con una propria poesia, con speranze e sogni e poi c’è la frattura del successo e anche il film subisce la fascinazione e il degrado dell’onnipotenza di Nicky.
Tutto diventa plumbeo, amaro e quasi anti comico, un film che delinea l’oscenità, nel senso di skené, fuori scena, di certi mondi, certi rapporti e certe illusioni poi prontamente disilluse, un mondo che sembra non vada rappresentato. Quello di C’era un cinese in coma è un modo rischioso ma efficace di proporre la comicità, un modo che ne mostra le impalcature, i difetti, i vizi e che espone i gesti, il tempo e la non-mise–en–scène di un artista, rendendo ancor più fruibile e comprensibile l’alba e il tramonto di un uomo, un prodotto commerciale, un soggetto, un animale da palco che prima viene forgiato, poi si smarrisce, perde ogni senso, ogni identità per poi andare incontro ad una inesorabile espiazione artistica e personale.