Poveri ma ricchi: recensione del film con Christian De Sica
Pur distante dalla tipica confezione a forma di cinepanettone che ha caratterizzato per lunghi anni la sua carriera cinematografica, Christian De Sica non riesce a star lontano dal Natale, tornando così ogni anno sempre fedele alla fredda stagione, come le calze appese al camino e lo zabaione caldo. Diretto questa volta dal regista Fausto Brizzi e contornato da un cast di noti comici e nuove leve, il famoso attore romano veste i panni del capofamiglia Tucci nella commedia Poveri ma ricchi, parabola di una felicità fatta di momentaneo lusso, dominata da sfarzoso kitsch e morali scontate.
Tanto poveri da non avere neanche gli occhi per piangere, i Tucci ricevono per la prima volta nella propria umile vita un regalo dalla fortuna. Giocati i sei fatidici numeri alla lotteria nazionale, la famiglia composta da papà Danilo (Christian De Sica), mamma Loredana (Lucia Ocone), i figli Tamara (Federica Lucaferri) e Kevi (Giulio Bartolomei), il cognato Marcello (Enrico Brignano) e la suocera Nicoletta (Anna Mazzamuro) vince il montepremi di cento milioni di euro, somma che cambierà radicalmente le proprie quotidiane abitudini, a cominciare con il trasferimento dalla sperduta Torresecca alla prosperosa ed abbiente Milano. Spendendo senza riguardo la vittoria acquisita, saranno il tempo e gli investimenti sbagliati ad insegnare ai Tucci il reale valore da perseguire, in un’atmosfera di affetto famigliare e spese folli.
Dalle tute ai completi, dai supplì alla nouvelle cuisine: i cento milioni di euro di Poveri ma ricchi
Dalle tute sfasate ai completi di seta, dai supplì grondanti d’olio alla nouvelle cuisine: il passaggio dall’arrancata casa di paese all’attico futuristico della metropoli è fatto solamente di un’entrata di cento milioni di euro sul conto, privilegio riservato a pochissimi eletti tra cui la sempliciotta famiglia Tucci. Come alieni sbarcati su un pianeta straniero, dove i buoni costumi e la discrezione sembrano l’emblema dell’incomprensibile per i novelli arrivati, i protagonisti della nuova commediola nata dal soggetto e dalla sceneggiatura di Fausto Brizzi e Marco Martani sono i tipici cafoni catapultati nel mondo signorile dei ricchi, sempre meno ingessati e tendenti ad ascendenze radical chic.
Alle prese con le novità che i soldi hanno apportato, in Poveri ma ricchi è la veracità dei personaggi a creare la netta disparità con gli altri appartenenti dell’elevato rango, in un’esclusione non dovuta – o almeno non soltanto – ad uno squilibrio di classi sociali dove la partenza misera influenza il punto di arrivo della famiglia Tucci, ma dove l’essere intrinsecamente ed ingenuamente incolti, nonché inadatti alle implicite regole del muoversi nell’ambiente dell’altolocata comunità, è l’insuperabile ostacolo di chi anche con i soldi rimarrà sempre un povero.
Poveri ma ricchi: risate a buon mercato
Liberamente tratto dall’originale francese Les Tuche, l’ultimo lavoro di Brizzi Poveri ma ricchi è semplice come semplici sono i suoi protagonisti, pensati e desiderati dall’autore come identità-riflesso del Paese di oggi, forse però ancora una volta, come accade in operazioni di tale genere, troppo caricati sia in fase di scrittura che di ripresa, con interpretazioni appositamente tenute al di sopra delle righe dall’intero cast del film. Tra serate di beneficenza e visite in gallerie d’arte, le quali non possono non far tornare alla mente le vacanze intelligenti di Alberto Sordi e Anna Longhi, la storia di Poveri ma ricchi si sviluppa con una linearità che va però leggermente accelerando nella parte finale, un’opera che ha l’aria di voler dare un’idea su ciò che siamo e di come sia cambiata con il tempo l’aristocrazia, ma si qualifica piuttosto come commedia a cui dedicarsi per svagare la mente in queste feste.
Bisognoso di ulteriori tagli alla volgarità, ma tuttavia adatto anche ad un pubblico di famiglie, Poveri ma ricchi è la lezione dei soldi che non fanno la felicità, però sono in grado di offrire risate a buon mercato.