Fino a qui tutto bene: recensione
Ci sono anni che non si dimenticano mai.
Questo il sottotitolo di Fino a qui tutto bene (scheda film, trailer), secondo lungometraggio dell’italo-inglese Roan Johnson, vincitore del premio del pubblico alla scorsa edizione del Festival del Cinema di Roma; una frase che sembrerebbe introdurre una pellicola carica di nostalgia e bei ricordi, in omaggio ad un periodo della vita che (chi l’ha vissuto lo sa) resta davvero unico ed indelebile nella formazione di un individuo: quello degli studi fuori sede.
Purtroppo, però, le aspettative legate ad un tema così ricco di possibili spunti e sfaccettature non vengono sufficientemente soddisfatte da questo film, che cerca di concentrare all’interno degli ultimi 3 giorni di convivenza di un gruppo di ragazzi che stanno per affacciarsi alla vita “vera” tutti i sentimenti dell’intero percorso insieme, col risultato di creare un’accozzaglia di aneddoti e gag talvolta forzate e non adeguatamente inserite in un filo narrativo che riesca realmente ad avvincere lo spettatore.
Probabilmente, due sono stati i possibili antefatti di questa riuscita non ottimale: il primo risiede nello stesso punto di partenza del film: un documentario, commissionato a Johnson dall’Università di Pisa, sugli studenti e le loro aspettative per il futuro, che se da una parte è stata la spinta per parlare della crisi economica e di come ha modificato il rapporto dei giovani con il domani, dall’altra ha vincolato la sceneggiatura ad un racconto di episodi un po’ fine e se stesso, privo di un approfondimento sulla psicologia dei personaggi e delle loro relazioni, col risultato di far venire meno la nascita di quel rapporto empatico tra spettatore e protagonisti necessario alla buona riuscita di un film.
Il secondo problema è stata invece la pretesa di voler trasmettere l’unicità di un periodo lungo e pieno di accadimenti senza nemmeno servirsi di flashback che ripercorressero i fatti più salienti e le dinamiche che hanno portato questi ragazzi a sentirsi tanto uniti da non volersi dividere: sappiamo che sono successe tante cose, una in particolare capace di alterare e sconvolgere gli equilibri di qualunque sistema, ma tutto ci viene riassunto in modo freddo e sbrigativo, preferendo lasciare spazio a tutte quelle “cavolate” e piccole pazzie che si fanno tra ragazzi e fanno tanto ridere (soprattutto – si spera- gli spettatori) ma che possono essere contorno, non essenza di una storia.
A tratti, poi, quasi a voler ammettere la carenza di spunti originali, si scade nella classica volgarità, con buona pace di chi ama quel tipo di umorismo.
L’intento di per sé ammirevole di voler raccontare la tenacia e la determinazione oggi indispensabili per ritagliarsi uno spazio nel mondo dopo gli studi, resta così insoddisfatta, come insoddisfatti ci lascia il finale metaforico, che sembra indugiare sull’ultima scena quel tanto di troppo che né aggiunge niente e né serve a chiudere efficacemente il cerchio del racconto.
Di buono resta la partecipazione di un cast affiatato (che ha vissuto realmente nella casa-set per tutta la durata delle riprese), qualche risata genuina e l’entusiasmo del regista, che per realizzare il suo progetto senza scendere a compromessi di tempo o contenuto ha coprodotto il film insieme a tutti gli attori, riconoscendo ad ogni tassello produttivo una propria paternità.
Fino a qui tutto bene arriverà al cinema il 19 marzo, distribuito da Microcinema. Nel cast Alessio Vassallo, Paolo Cioni, Silvia D’Amico, Guglielmo Favilla, Melissa Bartolini e con la partecipazione amichevole di Isabella Ragonese.