La Lettera Scarlatta: recensione del film con Demi Moore e Gary Oldman

La Lettera Scarlatta (The Scarlet Letter) è un film del 1995 diretto da Roland Joffé interpretato da Demi Moore, Gary Oldman e Robert Duvall e ispirato al famoso romanzo di Nathaniel Hawthorne, dal titolo omonimo.

Siamo nel Seicento, nella Boston puritana dei primi colonizzatori britannici. Hester Prinne è una giovane donna sposata con un anziano scienziato inglese, fatto prigioniero dagli indigeni. Mentre aspetta che il marito venga liberato, la donna si macchia dell’onta più grave: commette adulterio con un prelato e mette al mondo una figlia. Per quest’atto la comunità la condanna alla pubblica gogna costringendola a portare per sempre, cucita in rosso sul petto, l’infamante lettera “A” (che sta per “adultera”). Hester comunque, con orgogliosa ostinazione, rifiuta di rivelare il nome del padre della bambina, affrontando le varie vicissitudini.

Un’approssimata conduzione stilistica, un cast di interpreti che non riesce a rendere quanto basta per persuadere un pubblico. Roland Joffé con ingiustificata eccedenza, esegue una delle più insufficienti   trasposizioni cinematografiche di sempre del romanzo La Lettera Scarlatta, celeberrima opera letteraria dello scrittore Nathaniel Hawthorne.

La Lettera Scarlatta: una delle peggiori trasposizioni cinematografiche di sempre

Con un puerile ed inaccettabile classicismo, il film presentato dal regista anglosassone, risulta ampiamente patinato, caratterizzato da un blando melodramma privo di totale incisività. Un guazzabuglio narrativo che lede non solo il film nel suo complesso, ma anche il prezioso cast artistico – Demi Moore, Gary Oldman e Robert Duvall – tremendamente falcidiato da una regia pressapochista.

Le interpretazioni appaiono tremendamente parodistiche, quasi ai limiti del ridicolo, con buona parte del cast osteggiato da un tocco registico ampiamente discutibile. Il dispiacere nel vedere un “capitale umano” così mal rappresentato – quasi lesivo – è forse l’elemento più negativo palesato nel film di Joffé.

Non basta una valida fotografia o una vistosa scenografia a promuovere un film che non produce effetti, fuorché la noia. La tremenda staticità con cui  Joffé si ostina a “condurre” la storia – insieme allo sceneggiatore Douglas Day Stewart  -comporta solamente ad un tedioso esercizio di stile.

La Lettera Scarlatta è negativamente caratterizzata da una  presunzione  registica tale da indisporre perfino il critico più morigerato

La mala scelta di condurre il film sposando la causa letterale in maniera assoluta – accorpando una verbosità inaccettabile – comporta ad un totale annullamento – per non dire de-potenziamento – dell’ “essenza” cinematografica.  Banalizzare la mera concezione di cinema,  credendo di eseguire una sopraffina trasposizione cinematografica fondata  su un ipotizzato apparato liberista, da sempre schierato contro il fanatismo, la bigotteria e l’imperialismo.

Maldestro il tentativo di “analizzare”  il peccato, la redenzione, e il puritanesimo, cercando – con impudenza – di farli incorporare al pubblico; La Lettera Scarlatta proprio per le esagerate  effusioni che presenta – da una parte quella moralistica dall’altra quella del martirio – pecca nella sua interezza non riuscendo  ad essere contemplabile perfino ad un pubblico prettamente femminile.

Lo spettatore – usando un termine universale – patisce una sceneggiatura mal posta, con l’handicap di dover rappresentare fedelmente un romanzo a scapito della settima arte. Film dimenticato – fortunatamente – dai più, che non ha aggiunto nulla al genere, se non indisposizione tra i vari cinefili.

Regia - 2.5
Sceneggiatura - 1.5
Fotografia - 2.5
Recitazione - 1.5
Sonoro - 1.5
Emozione - 1.5

1.8