Barriere: recensione del film di e con Denzel Washington

Spesso si parla di muri sociali, molte altre delle mura che ognuno di noi erige attorno a sé, ma Barriere, il nuovo film diretto e interpretato da Denzel Washington, tenta di farci comprendere come i due discorsi siano in realtà interdipendenti.

A circa dieci anni dalla sua ultima prova da regista, Washington torna dietro la macchina da presa per portare sul grande schermo l’opera teatrale di August Wilson Fences, risalente al 1983, cimentandosi anche come attore protagonista, come spesso accade con gli interpreti riscopertisi cineasti. La storia ruota attorno a Troy Maxon, ex giocatore di baseball nella Negro League che negli anni ’50 cerca di sbarcare il lunario e mantenere la propria famiglia lavorando come netturbino. Convinto che sia primo dovere di un uomo mantenere se stesso e i propri cari, Troy non riesce purtroppo a esternare l’affetto che dovrebbe nei confronti dei figli, che cresce rigidamente a suon di lezioni su doveri e responsabilità.

Washington, che già aveva interpretato il ruolo a teatro assieme a Viola Davis, trova un materiale che va perfettamente a posizionarsi nella sua carriera da regista dopo Antwone Fisher (2002) e The Great Debaters – Il potere della parola (2007), sintetizzando i temi trattati nelle due produzioni precedenti: l’infanzia infranta di un marine, nel primo caso, e la rivendicazione dei propri diritti da parte di un gruppo di studenti, nel secondo, sembrano aver preparato puntualmente la strada a questo terzo lavoro registico del due volte premio Oscar.

Barriere: un racconto naturalista sulle mura innalzate dalla società e da ognuno di noi

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Stavolta, il microcosmo si fa ancora più piccolo, con l’intero film ambientato praticamente nella casa dei Maxon, lasciando persino fuori campo spazi e personaggi chiave per lo sviluppo del film. Uno spazio filmico intimo, ristretto, attraversato nondimeno dalle questioni sociali che affliggevano in particolare la popolazione afroamericana negli Stati Uniti del dopoguerra. Scenografie limitate, compensate tuttavia dall’immane personalità dei protagonisti che le abitano; sono le storie, i conflitti, le vite di quelle persone ciò che più sta a cuore raccontare a Washington.

Non si preoccupa di dedicare quasi venti minuti a una conversazione ai limiti del monologo tenuta tutta sulle spalle del proprio ruolo, rischiando di essere additato dal pubblico come primadonna. L’intento principale è chiaro sin da subito: portarci talmente vicino a questi personaggi da renderci più difficile pronunciare un giudizio netto sulle loro vite.

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Se Washington infatti non riesce totalmente nell’impresa di far dimenticare l’origine teatrale del racconto (in più di un punto si ha la sensazione di stare a guardare un testo originariamente pensato per essere interpretato su un palcoscenico), il regista riesce certamente a reggere egregiamente un cast di attori in grande spolvero e di guidarli attraverso performance intense, passando anche con una certa maestria da toni frivoli a momenti carichi di pathos, come d’altronde accade con la vita stessa.

Non bisogna scordare che, a parte alcuni eventi, il film manca in realtà di un espediente narrativo che porti avanti la storia nella più classica delle accezioni.

Washington ci apre semplicemente le porte di una casa per scavare nei fragili equilibri che tengono insieme una famiglia; un nucleo che non smette di essere composto da singoli individui, ciascuno con i propri raggi di luce e zone d’ombra. Uomini e donne che devono fare i conti con ogni scelta che compiono, responsabili delle loro azioni ma allo stesso tempo apparentemente imprescindibili dal contesto sociale e familiare in cui sono cresciuti e vivono, che contraddistingue un approccio quasi naturalista al materiale.

Barriere: un ottimo testo teatrale tramutato in film di grande potenza

Non è infatti casuale che il personaggio di Troy Maxon costruisca una recinzione intorno alla casa: quelle Fences che danno il titolo all’opera originale per proteggere la dimora, gli affetti, impedendo ai mali dell’esterno di contagiare i suoi cari; ma le barriere, tornando alla traduzione italiana, sono anche quelle che pone la società stessa e che non possono far altro che crescere persone condizionate a innalzarne delle altre. E nessuno sembra poter passare rimanendo immune dai giudizi, dal peso delle aspettative e delle responsabilità, dai ruoli che ciascuno costruisce per sé e per gli altri alla disperata ricerca di una stabilità emotiva, ma che finiscono per starci stretti, quando il bisogno di Vivere supera quello di sopravvivere.

Denzel Washington porta dunque a casa un risultato non indifferente, impreziosito da gigantesche interpretazioni e dalla rappresentazione di vite che non necessariamente mirano a decretare un giudizio morale sulle azioni a cui testimoniamo, realizzando così un lavoro che, pur facendo molto affidamento sul testo piuttosto che sulla tecnica cinematografica e nonostante alcuni espedienti simbolistici evitabili, si erge a racconto di rara potenza nella recente produzione americana.

Barriere, diretto, interpretato e prodotto da Denzel Washington, uscirà in Italia il 23 febbraio. Il cast è completato da Viola Davis, Stephen Henderson, Jovan Adepo, Russell Hornsby, Mykelti Williamson e Saniyya Sidney. Il film è in corsa agli Oscar nelle categorie Miglior film, Miglior attore protagonista (Denzel Washington), Miglior attrice non protagonista (Viola Davis, che ha già portato a casa il Golden Globe) e Migliore sceneggiatura non originale (August Wilson). QUI potete trovare il trailer.

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 4
Fotografia - 3.5
Recitazione - 4.5
Sonoro - 3.5
Emozione - 4

3.8