C’era una volta il West: recensione del capolavoro di Sergio Leone
A due anni di distanza da Il buono, il brutto, il cattivo, strepitosa chiusura di quella Trilogia del dollaro che ha cambiato per sempre la storia del cinema western, Sergio Leone torna a dirigere un’altra pellicola di questo glorioso genere, centrando un altro immortale capolavoro con C’era una volta il West.
Per vincere la sua refrattarietà a girare un’altra pellicola di questo genere, scaturita anche dal suo già impellente desiderio di realizzare C’era una volta in America, impresa che gli riuscirà solo nel 1984, Sergio Leone sceglie due giovani collaboratori che a loro volta pochi anni dopo lasceranno un’indelebile traccia nella storia della settima arte, ovvero Bernardo Bertolucci e Dario Argento, che lo aiutano a imbastire un soggetto ambizioso e mastodontico, capace di abbracciare la grande tradizione western e di chiuderne al tempo stesso malinconicamente il cerchio.
Preso atto dell’impossibilità di avere nel cast il suo attore feticcio Clint Eastwood, ormai lanciato verso la sua carriera a Hollywood, il cineasta italiano si affida ad altri tre attori americani, ovvero Charles Bronson, Jason Robards e soprattutto la stella Henry Fonda, già iconico volto del cinema di John Ford, da sempre punto di riferimento per Leone e per tutto il cinema western.
Serviva un’attrice capace di tenere testa con un solo sguardo a questi formidabili interpreti, dando anima e volto alla prima e unica donna centrale in un film di Sergio Leone. La lista delle papabili era quindi abbastanza corta. La scelta del cineasta italiano è quindi ricaduta su una delle più grandi interpreti e delle più sensuali donne di cui il cinema abbia mai goduto, ovvero l’irresistibile Claudia Cardinale, che centra così l’ennesima grande performance della sua carriera nei panni della dolce e carismatica ex prostituta Jill McBain.
A completare il cast artistico e tecnico, fra gli altri ci sono due ottimi interpreti italiani come Gabriele Ferzetti e Paolo Stoppa, il direttore della fotografia Tonino Delli Colli, il montatore Nino Baragli e soprattutto il leggendario compositore Ennio Morricone, autore per C’era una volta il West di una delle migliori colonne sonore mai ascoltate al cinema.
Ci troviamo nell’immaginaria cittadina di Sweetwater, che acquista una notevole importanza strategica ed economica in quanto unica fonte d’acqua del circondario, e perciò seria candidata a ospitare il passaggio della nascente ferrovia a vapore, con conseguente ingente rialzo del valore del terreno. Brett McBain ha astutamente acquistato il terreno in previsione del rialzo, diventando però oggetto di minacce e intimidazioni da parte di Morton (Gabriele Ferzetti), magnate delle ferrovie. In un atto di disumana crudeltà, il sicario di quest’ultimo Frank (Henry Fonda) uccide McBain e i suoi figli, cercando di incolpare il bandito Cheyenne (Jason Robards) di quanto avvenuto.
Nel frattempo arrivano anche due nuovi volti a scombinare i piani di Morton: l’ex prostituta Jill (Claudia Cardinale), che ha sposato segretamente Brett diventandone unica erede, e un silenzioso pistolero (Charles Bronson), soprannominato Armonica per il suo continuo e sinistro utilizzo di un’armonica a bocca, che pare avere un conto in sospeso con Frank. Passato, presente e futuro si incrociano in una struggente storia di potere, vendetta, onore e progresso, che cambierà per sempre le sorti della cittadina di Sweetwater.
Sergio Leone concentra tutto il suo epico modo di fare cinema in C’era una volta il West
In quello stesso 1968 in cui il mondo è scombussolato da rivoluzioni e utopie e Stanley Kubrick cambia per sempre il corso della fantascienza e dell’intera settima arte con il suo 2001: Odissea nello spazio, Sergio Leone concentra tutto il suo epico modo di fare cinema in C’era una volta il West, chiudendo idealmente un’epoca fatta di sogni, ideali e speranze per fare posto a un’altra più incerta, rassegnata e forse meno appassionata.
Sergio Leone guarda indietro per andare avanti, cominciando così la cosiddetta trilogia del tempo, che proseguirà tre anni dopo con Giù la testa per poi concludersi nel 1984 con il già citato C’era una volta in America, ultima opera del leggendario cineasta italiano. La carovana della fantasia di Leone ci trasporta così al tramonto del mito del Far West, dove gli ultimi scampoli di un’epoca unica e irripetibile, fatta di cowboy e cacciatori di taglie, di eroi e di banditi, di duelli e di razzie, si scontrano con l’inevitabile avvento del progresso, simboleggiato da quella ferrovia che diventerà il ponte fisico e ideologico per unire e collegare fra loro gli Stati Uniti.
Sweetwater diventa così il teatro di un duro scontro per un miglior posizionamento in questo nascente futuro, che deve però necessariamente fare i conti con una realtà dominata ancora dall’avidità e dalla sete di vendetta.
In C’era una volta il West le parole cedono spesso il passo agli sguardi
In un contesto del genere, le parole e le frasi di circostanza, da sempre detestate da Leone, devono necessariamente cedere il passo alle azioni e a ben più eloquenti sguardi, intervallati da poche, brevi, pungenti e memorabili frasi. Il regista italiano apre così C’era una volta il West con venti minuti quasi del tutto privi di dialoghi, che da soli contengono più spiegazioni sul cinema che decine di manuali sul tema.
Attraverso i suoni, i silenzi e la maestria di Leone dietro alla macchina da presa percepiamo l’attesa e la crescente tensione per un arrivo destinato a rompere irrimediabilmente i fragili equilibri di Sweetwater. Un nuovo ombroso pistolero, magistralmente impersonato da un glaciale e inflessibile Charles Bronson, giunge in città, portando con sé poche chiacchiere ma tanta voglia di regolare i conti di un passato oscuro e misterioso.
Dopo la sublime presentazione di un vero e proprio antieroe, Sergio Leone ci mostra la sua cinica e spietata nemesi Frank, compiendo l’azzardata e geniale scelta di dargli il volto pulito e affascinante di Henry Fonda, precedentemente associato quasi esclusivamente a personaggi retti e positivi. A seguire, per completare le presentazioni, il regista immortala Claudia Cardinale nella discesa dal treno più celebre della storia del cinema, in cui lo struggente tema musicale portante di Ennio Morricone si fonde con l’espressività e la grazie dell’attrice italiana, mostrando poi anche il Cheyenne di Jason Robards, elemento estraneo ma fondamentale per gli equilibri dell’anomalo terzetto di protagonisti.
C’era una volta il West: un’amara ma appassionata riflessione sul tempo e sulla sua circolarità
Pur riprendendo formalmente molti degli stilemi del western, Sergio Leone con C’era una volta il West si concentra progressivamente sempre di più sulle dinamiche interpersonali fra i personaggi, mettendo al contempo i piedi un’amara ma appassionata riflessione sul tempo e sulla sua circolarità.
Il regista dilata e comprime a proprio piacimento i ritmi narrativi e sfrutta superlativamente gli spazi, con una sublime alternanza di panoramiche mozzafiato come quelle della Monument Valley, che aveva contribuito a rendere grande il cinema di John Ford, e dei suoi caratteristici strettissimi primi piani, volti a esaltare l’espressività degli interpreti e a scandagliare lo stato d’animo dei vari personaggi.
Le polverose strade e i sudici locali di Sweetwater diventano il teatro di una tragica lotta contro i fantasmi del proprio passato e per aggrapparsi alle poche speranze per il futuro, in cui ogni personaggio, grazie anche e eccezionali dialoghi e alle encomiabili prove di tutti gli interpreti, trova una propria perfetta collocazione narrativa e simbolica.
Armonica e Frank sono uniti da un passato comune, e perseguono entrambi la propria personale giustizia, che spinge il personaggio interpretato da Charles Bronson a cercare rivincita e riscatto, e quello interpretato da Henry Fonda a prevaricare tutte le persone o le cose che si frappongono alla sua bieca sete di sangue e di potere. Defilato rispetto ai due troviamo il bandito Cheyenne dello stratosferico Jason Robards, che conosce e sfrutta le regole del gioco, ma al tempo stesso è dotato di grande umanità ed è alla ricerca di una propria pacifica stabilità.
C’era una volta il West è l’equivalente cinematografico dei grandi poemi omerici
Ci potremmo trovare davanti a uno scontro fra tre personalità simili e complementari non molto distante da quello del precedente lavoro di Leone Il buono, il brutto, il cattivo, se non fosse per la dolce e al tempo stesso combattiva figura della Jill di Claudia Cardinale, che dopo una vita difficile segnata da molte delusioni e altrettante sofferenze cerca di tenersi disperatamente aggrappata al sogno di una vita normale e pacifica, che le sfugge continuamente un attimo prima di essere raggiunto e afferrato, diventando così il baricentro emotivo e narrativo della pellicola.
Da sublime direttore d’orchestra, Leone mette in scena con questi quattro personaggi l’equivalente cinematografico dei grandi poemi omerici, sottoponendoli a continue prove e scontri, accompagnandoli verso il finale, con il discreto ma sempre palpabile cigolio del ferro a ricordare il lento ma inesorabile arrivo della civiltà e del progresso.
Gli ultimi quaranta minuti di C’era una volta il West sono un lungo assolo di Jimi Hendrix, un canto di Dante, un dipinto di Michelangelo; sono uno struggente e malinconico commiato a un’irripetibile epoca che cede amaramente il passo a un’altra, non prima di avere emesso un ultimo epico ruggito. Non può quindi essere che un ultimo grandioso duello a segnare le sorti dei personaggi e riallacciare perfettamente il filo fra passato e presente.
In questo mondo in continuo e sempre più frenetico cambiamento non ci può essere spazio né per repentini e forzati slanci amorosi né per audaci e solitari pistoleri, che si ritrovano improvvisamente fuori tempo e fuori moda, come il modo di fare cinema del loro creatore. Non resta quindi che dare un ultimo nostalgico sguardo a quelle sconfinate vallate, teatro di eroiche gesta e vili massacri, violate da un treno carico di speranze e illusioni.
Con C’era una volta il West, Sergio Leone centra la perfetta sintesi del genere che lo ha reso grande
Con C’era una volta il West, Sergio Leone centra la perfetta sintesi del genere che lo ha reso grande, omaggiando i grandi classici del passato (sono evidenti i riferimenti soprattutto a Sentieri selvaggi, Il cavaliere della valle solitaria e Mezzogiorno di fuoco) e diventando contemporaneamente fonte di ispirazione per nuove generazioni di grandi cineasti (Martin Scorsese, George Lucas e John Carpenter prima, Quentin Tarantino e Robert Rodríguez poi).
A quasi 50 anni dall’uscita del film, noi non possiamo che rimanere ammirati di fronte a una pietra miliare della narrazione audiovisiva, simbolo di un modo di fare cinema e di narrare storie così lontano dalla modernità, ma al tempo stesso così universale, puro e stimolante.
Sai Jill, mi ricordi mia madre. Era la più grande puttana di Alameda e la donna più in gamba che sia mai esistita. Chiunque sia stato mio padre, per un’ora o per un mese, è stato un uomo molto felice.