Un ragazzo d’oro: recensione del film di Pupi Avati con Riccardo Scamarcio
Pupi Avati torna sul grande schermo dietro la macchina da presa nel 2014, dopo tre anni di pausa, con Un ragazzo d’oro, dramma con protagonista Riccardo Scamarcio, insieme a Cristiana Capotondi, Giovanna Ralli e la presenza speciale di Sharon Stone.
Un ragazzo d’oro ruota attorno ai problemi familiari e psicologici di Davide Bias (Riccardo Scamarcio), aspirante scrittore, che ha da sempre avuto un rapporto problematico con il padre, ex sceneggiatore di film di serie B girati tra gli anni ’70 e ’80. La vita del ragazzo non è proprio idilliaca, considerando le numerose insoddisfazioni: accantona il sogno di diventare scrittore dopo che una casa editrice rifiuta di pubblicare il suo racconto, nonostante notino il suo talento; la sua attuale ragazza, Silvia (Cristiana Capotondi) è ancora innamorata del suo ex, nonché datore di lavoro di Davide.
Un ragazzo d’oro: Davide Bias e il rapporto instabile con il padre
Come se la situazione non fosse già abbastanza destabilizzante, c’è un altro avvenimento che colpisce il protagonista profondamente: la morte del padre, punto su cui si baserà principalmente la pellicola. Il rapporto tra padre-figlio si può definire a tutti gli effetti un odi et amo, dato che s’intuisce sempre di più l’attaccamento morboso di Davide nei confronti di un padre da cui avrebbe voluto maggiore ammirazione e rispetto.
Se all’inizio della pellicola il personaggio interpretato da Scamarcio cerca di ottenere la pubblicazione del suo racconto, anche per rivendicarsi nei confronti del padre, per il resto del film, e quindi dopo la morte dell’anziano Bias, Davide cerca di legittimare la carriera del padre, caratterizzata solo da mediocri commedie, facendo pubblicare l’ultimo suo libro, considerato il capolavoro della vita del defunto sceneggiatore.
Si ha la sensazione che manchi qualcosa, come se da un momento all’altro ci si aspettasse un exploit che non arriva mai. Davide per tutto il film lotta, oltre che con il padre anche, ed in particolar modo, con se stesso e con la sua condizione, cercando di sopravvivere attraverso l’assunzione di pillole. La sua vita, però, lentamente, inizia a sfuggirgli di mano, rendendo ancora più precaria la stabilità che avrebbe potuto trovare in futuro.
Un ragazzo d’oro: Pupi Avati torna sul grande schermo con quella che sembra una bozza di una storia ancora da completare
Pupi Avati non colpisce, e l’ansia di un finale concreto, o quanto meno di uno sviluppo, persiste per tutta la pellicola, senza trovare le giuste risposte, ma solo ulteriori congetture. C’è molta teoria e poca pratica. Il regista ha posto buone idee di base, senza però ampliarle adeguatamente.
I ritmi sono eccessivamente lenti e pesanti, tanto da credere che la durata del film sia di due ore abbondanti, e non della canonica un’ora e mezzo. Avati torna sul grande schermo con quella che sembra più un abbozzo di storia, che una pellicola vera e propria, come se tutto fosse accennato e leggermente tratteggiato. Basti considerare per esempio la figura del padre: la vediamo attraverso gli occhi del figlio, senza comprendere realmente chi fosse o come fosse, senza capire il rapporto con l’amante o come sia morto veramente.
Un ragazzo d’oro: Il cast non riesce a cambiare le sorti del film
Un ragazzo d’oro possiede un buon cast, che purtroppo, però, non riesce a risollevare le sorti del film. Proprio a causa della confusione narrativa, e dei pochissimi elementi a cui aggrapparsi, è difficile identificarsi nello stesso protagonista, anche a causa di alcuni clichés interpretativi in cui Scamarcio ricade. Cristiana Capotondi veste i panni di Silvia, la ragazza da cui Davide pretende un amore che non arriverà mai. Ma chi è Silvia a parte la compagna del giovane Bias, innamorata di un altro, e una farmacista? Non sappiamo nient’altro. I personaggi sembrano mere sagome senza alcuno spessore, senza alcuna profondità psicologica (In Davide c’è fin troppa profondità psicologica, gestita in modo sbagliato). Per non parlare poi della scelta di casting di Sharon Stone, totalmente inadeguata in questo contesto e anch’essa priva di spessore. Lo charme della bella attrice stavolta si rivela impotente, non riuscendo a spiccare come dovrebbe.
Il grande Pupi Avati è facilmente dimenticabile con questa pellicola, così come lo sono le varie sotto trame che si innestano una dopo l’altra, irrefrenabili, senza mai trovare una giusta conclusione. Peccato, perché i presupposti iniziali non erano affatto male, ma la superficialità e la banalità hanno iniziato ben presto a prendere il sopravvento, per poi finire completamente fuori controllo.