Philomena: recensione del film con Judi Dench e Steve Coogan
Philomena è un film del 2013 diretto da Stephen Frears. La pellicola è basata sulla storia vera di Philomena Lee (interpretata da Judi Dench), narrata nel romanzo The Lost Child of Philomena Lee di Martin Sixsmith, impersonato nel film da Steve Coogan. Philomena è stato presentato in concorso alla 70ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, dove ha conquistato il premio per la migliore sceneggiatura e il Queer Lion. Il film ha inoltre ottenuto tre candidature ai Golden Globe e quattro ai premi Oscar.
Poco dopo aver perso il proprio lavoro presso il partito laburista britannico, il giornalista Martin Sixsmith durante una festa si imbatte in Jane, una cameriera che racconta all’uomo la storia di sua madre Philomena Lee. Circa 50 anni prima, la donna ha portato a termine una gravidanza inattesa al di fuori del matrimonio in un rigidissimo convento irlandese, che negli anni ’50 ha accolto diverse altre ragazze madri con modalità e fini disdicevoli. Insieme ad altre ragazze nelle sue stesse condizioni, Philomena ha infatti vissuto da reclusa nel convento per diversi anni, sfruttata come forza lavoro e finendo inoltre per essere crudelmente privata del figlio, dato in affidamento a peso d’oro negli Stati Uniti.
Vincendo la sua refrattarietà a confrontarsi con quelli che lui chiama “casi umani”, Martin accetta di raccontare la storia di Philomena e di aiutarla nelle ricerche del figlio perduto, che la madre non ha mai dimenticato. Nonostante i caratteri diametralmente opposti, fra la dolce, sognatrice e credente donna e lo scettico, scorbutico e cinico giornalista nasce una profonda amicizia, che guiderà i due nell’indagine su un passato oscuro e doloroso.
A sorprendere in Philomena è l’equilibrio quasi scientifico della sceneggiatura
Undici anni dopo lo splendido Magdalene, vincitore del Leone d’oro nel 2002, Venezia viene nuovamente incantata da un’altra commovente storia su una delle più gravi atrocità commesse in Europa nel dopoguerra, ovvero la reclusione di giovani donne e il traffico dei loro bambini perpetuato per anni dalla Chiesa Cattolica in Irlanda. Stephen Frears e Steve Coogan (nella triplice veste di sceneggiatore, produttore e protagonista) compiono un lavoro di rara misura e compattezza, trovando la perfetta miscela fra dramma, umorismo, approfondimento storico e critica sociale, evitando il pericolo di mettere in piedi una pellicola retorica e lacrimevole. A sorprendere maggiormente in Philomena è infatti l’equilibrio quasi scientifico della sceneggiatura, in cui anche i momenti più drammatici vengono sapientemente sdrammatizzati con un umorismo intelligente e tagliente, senza mai mancare di sensibilità o rendere angoscioso il racconto.
Pur non facendo mancare una severa analisi di una terribile pagina della storia irlandese e inevitabili stilettate alla Chiesa Cattolica, Philomena è prima di tutto la storia dell’incontro fra due personaggi apparentemente incompatibili, che trovano proprio nell’opposto e nella ricerca uno scopo nella vita e un sollievo dai propri demoni interiori. Gran parte del merito della solidità del film va alle strepitose performance dei due protagonisti, che con l’espressività dei loro volti e delle loro voci (consigliabile a tal proposito la visione in lingua originale), riescono a dare vita a due mondi dapprima lontani, ma con il passare dei minuti sempre più inseparabili e fra loro complementari.
Fede e Ragione si scontrano per l’ennesima volta in un racconto congegnato con eleganza e maestria
Judi Dench trova una delle migliori prove della sua memorabile carriera nei panni di un personaggio antitetico all’iconica M impersonata nella saga di James Bond: la sua Philomena commuove per l’incrollabile fede, la quasi anacronistica gentilezza e per il suo spirito compassionevole, non intaccato da un dolore lungo anni e dalle lacrime che rigano e hanno rigato il suo dolce e anziano volto. Non è da meno un ottimo Steve Coogan, che centellina il suo spietato humour e dipinge pregevolmente un personaggio complesso e ricco di sfaccettature, che trova dai contrasti e dalla dissomiglianza con la sua anziana amica la forza per uscire dalla sua stasi umana e professionale.
Fede e Ragione si scontrano per l’ennesima volta in un racconto congegnato con un’eleganza e una maestria tale da rendere ampiamente perdonabili alcuni snodi narrativi leggermente forzati e qualche furberia di troppo. Proprio nel momento in cui si ha la sensazione che Stephen Frears stia per affondare il colpo nei confronti delle istituzioni religiose (“Quali peccati? La Chiesa Cattolica ha peccato, non tu!”) il regista ritrae la mano, non per paura o sudditanza nei confronti del cattolicesimo, ma per giungere alla sintesi di due posizioni così contrastanti, e per ribadire che in ogni tipo di conflitto arriva il momento in cui è possibile perdonare e necessario accettare ciò che è stato, senza per forza rinunciare alle proprie idee e alla propria coerenza. Un messaggio semplice e forse buonista, ma messo in campo con un’abilità narrativa davvero rara di questi tempi.
Philomena ci guida in un emozionante viaggio alla riscoperta del proprio passato e dei propri affetti
Un plauso dunque alla scrittura di Steve Coogan e Jeff Pope e alla regia di Stephen Frears, che alternano sapientemente momenti di grande umorismo ad altri di grande introspezione, senza risparmiare dure pugnalate allo stomaco dello spettatore. Un plauso anche alle ottime musiche di Alexandre Desplat, che danno enfasi ai momenti più intensi della pellicola.
Con grande tatto e pungente arguzia, Philomena ci racconta una dura e triste pagina di storia dello scorso secolo, guidandoci in un emozionante viaggio alla riscoperta del proprio passato e dei propri affetti. Un mirabile esempio di cinema fatto a bassa voce e senza spettacolarizzazioni, ma con estrema intelligenza e tanto cuore.