Psycho (1960) vs Psycho (1998): differenze tra il film di Alfred Hitchcock e quello di Gus Van Sant
Era il 1960 quando Alfred Hitchcock, uno dei maestri indiscussi del cinema, diede alla luce il thriller Psycho. Nel 1998 Gus Van Sant, da sempre grande ammiratore di Hitchcock, decide di rendergli omaggio ricreando il capolavoro hitchockiano.
Il film è girato in maniera completamente innovativa: un remake frame-by-frame con cui il regista decide di ricostruisce passo per passo l’omicidio di Marion Crane e il disturbo psicologico di Norman Bates. Ma quali sono le differenze tra questi due film?
Psycho (1960) vs Psycho (1998): differenze tra il film di Alfred Hitchcock e quello di Gus Van Sant
All’occhio di uno spettatore moderno, vedere oggi Psycho può non risultare così avvincente come ci si aspetterebbe quando ci si avvicina a un grande maestro. Non va dimenticato però, che tutto quello che è stato eseguito da Hitchcock è stato studiato ed esaminato in ogni minimo dettaglio, tanto da rendere le sue opere i mattoni della cinematografia moderna.
Premesso questo, tutto assume un’aspetto più interessante e la prima cosa che va notata di questo film (e chiunque studi cinema ve lo potrà confermare) è la tecnica utilizzata per creare questa pellicola, nonostante le scarse risorse tecnologiche del tempo.
Pshyco di Hitchcock, film ovviamente in bianco e nero, si apre con una panoramica di Phoenix, per poi procede passando per la finestra della camera d’albergo.
Tutta questa sequenza è composto da una serie di piccoli tagli che, a uno sguardo poco attento, può sembrare un’unica ripresa continua. Questo era l’effetto che voleva realizzare Hitchcock, ma la tecnologia per farlo senza tagli non esisteva ancora e dovette optare per un metodo alternativo.
La prima e sostanziale differenza con la versione di Gus Van Sant è evidente già dall’inizio. Il film è a colori! Molte sequenze vengono messe in evidenza proprio dai colori. Di nuovo il film inizia con la panoramica di Phoenix, per poi ritrovarci a entrare nella camera dell’albergo passando per la finestra, ma questa volta la ripresa è veramente un’unica scena.
Psycho (1960) vs Psycho (1998): Marion e Sam
Marion ha una relazione con Sam e vuole che lui la sposi per guadagnare rispettabilità, ma purtroppo per lei i due non hanno i soldi per sposarsi. La vediamo indossare biancheria intima bianca e questo particolare all’apparenza insignificante, ha però un significato simbolico che sarà evidente più avanti nel film.
La vediamo tornare a lavoro e lì incontrare un uomo particolarmente felice per le prossime nozze di sua figlia. L’uomo le dice che il marito della figlia “Sta corrompendo l’infelicità” con i suoi soldi che possiede perché, secondo il suo parere, la felicità non si può comprare, ma è possibile corrompere l’infelicità.
Marian non sarà mai in grado di rendere il suo rapporto “rispettabile”, perché non ha la possibilità finanziaria di “corrompere l’infelicità” e sposarsi così come la figlia dell’uomo d’affari. Sempre in tema di matrimonio e rispettabilità, l’altra segretaria nell’ufficio suggerisce che l’uomo stesse flirtando con Marion e non con lei perché lui aveva notato il suo anello nuziale.
Nella versione di Gus Van Sant, Marion e Sam sono ora interpretati da Anne Heche e Viggo Mortensen.
La soluzione da lui adottata per tenere lo stesso dialogo dell’originale è quello di presentarlo in modo ironico. Quindi, quando Marion parla di sposarsi per evitare di doversi vedere di nascosto, lo fa in modo pittoresco, quasi a voler farsi beffe dell’atteggiamento che era invece tipico degli anni ’60. In questa parte del film, è anche possibile trovare qualche piccola aggiunta: si sentono un uomo e una donna che fanno sesso nell’appartamento di fianco e si vede inquadrata una mosca.
Una particolarità che va tenuta presente del remake è l’utilizzo dei vestiti e del set in stile anni ’60, nonostante i personaggi siano indubbiamente della fine degli anni ’90.
Psycho (1960) vs Psycho (1998): bianco e nero come sinonimo di giusto o sbagliato
Torniamo alla pellicola del 1960.
L’uomo d’affari lascia 40.000 dollari (che invece sono 400.000 nel remake) in consegna al capo di Marion che, a sua volta, lo affida a lei per metterlo al sicuro in una cassetta di sicurezza. Quando Marion va a casa, inizia a fare le valige e vediamo che la sua biancheria intima adesso è nera (a prova del fatto che in effetti lei abbia già deciso di rubare il denaro).
Si allontana, viene interrogata da un poliziotto dopo che ha accostato sulla strada per dormire e poi la si vede cambiare in fretta la sua macchina con un’altra (sotto lo sguardo vigile dello stesso poliziotto, che in pratica rende inutile il cambio d’auto). Mentre guida immagina che il suo capo e l’altra segretaria la stiano cercando. C’è una sequenza strana in cui i suoi occhi sono più volte accecati dal bagliore dei fari delle macchine sull’altra corsia.
Abbiamo già detto che Van Sant nel suo remake usa molto i colori, con una predominanza di arancio e verde, e la biancheria di Marion in questa versione è appunto verde, come se Van Sant con questa scelta di colore volesse eliminare il simbolismo intrinseco che generalmente viene attribuito a bianco e nero. Non vi è alcuna prova certa per questa tesi, sta di fatto che è un’interessante prospettiva.
Psycho (1960) – Benvenuti al Bates Motel
Finalmente Marion arriva al Bates Motel. Prima che incontri Norman, dalla finestra vede l’ombra della madre di lui dalla finestra della camera. Norman scende ad aiutarla e, mentre lei firma con un falso nome nel libro degli ospiti, lui sembra volerle dare la chiave della stanza numero 3. Lo vediamo però cambiare idea e darle la stanza accanto all’ufficio. Così, proprio come Marion aveva deciso di rubare il denaro prima di lasciare la città, Norman in questa fase iniziale ha già deciso di spiarla.
Marion, mentre attende che Norman ritorni con il pranzo, sente la madre che lo schernisce e lo accusa di essere un degenerato per il suo interesse per la ragazza. Lui le porta dei sandwich e la invita a mangiare nel salottino del suo ufficio.
È molto interessante notare la presenza dei molti uccelli impagliati che incombono minacciosi nella stanza, soprattutto se si pensa che il film successivo di Hitchcock è stato proprio Gli uccelli ( se ne trovano anche tracce nella camera di Marion sotto forma di stampe, senza considerare che il cognome di Marion, Crane, in inglese significa gru). Norman ama impagliare i volatili perché sono esseri passivi in ogni caso.
Marion simpatizza con Norman, e gli suggerisce di considerare di mettere sua madre “in qualche struttura.”
Questo lo indispone e vediamo che lui comincia a odiarla. L’empatia che la donna ha nei confronti di Norman cresce sempre di più quando lui le spiega che se lasciasse la madre, lei sarebbe perduta e ne morirebbe.
Norman parla anche di suo padre e le dice che, sebbene sia vero che per un bambino la madre è la migliore delle amiche, non si può dire che un figlio sia un buon sostituto per un amante. Dopo questa conversazione ne inizia una molto più significativa sulle trappole in cui le persone possono finire se scelgono strade sbagliate, conversazione che cambiare idea a Marion che decide che riporterà indietro i soldi rubati e affrontare le conseguenze delle sue azioni.
Alcune scene del remake si scostano in maniera sostanziali in questa parte del film.
Nell’originale, il lungo colloquio che Marion ha con Norman nel salotto dell’ufficio ha ripercussioni evidenti su di lei e le sue scelte. Si intuisce che provava pietà per lui e che la loro chiacchierata su come le pessime decisioni possano modellare l’intero corso della vita di qualcuno le faccia rivalutare la propria situazione.
Tutto questo conferisce una specie di potere magico al primo film; lei ha una connessione con questo ragazzo, sono legati… e lui finirà comunque per ucciderla.
Nel remake, Heche sembra capire che Norman è pazzo al primo sguardo e sembra terrorizzata da lui. Vaughn, da parte sua, è anche in grado di venire fuori come l’eremita innocuo Perkins è stato in grado di proiettare. La scena fa paura nel remake, ma quando Marion annuncia che ha deciso di restituire il denaro è ora brusco e immotivato, e il senso della loro comprensione condivisa è andato.
D’altra parte, non in molti potrebbero guardare Vaughn (il Noman degli anni ’90) e crederlo innocuo tanto quanto lo sembrava Perkins nell’originale.
La scena del remake è veramente spaventosa, come dovrebbe essere, ma la decisione che Marion prende di riconsegnare i soldi perde la sua motivazione primaria, non essendo più presente quel senso di empatia tra i due personaggi.
Psycho (1960) vs Psycho (1998): la scena della doccia
Siamo arrivati alla scena più famosa del film, scena che tra l’altro è la prima che mostra un bagno sul grande schermo, la scena dell’omicidio nella doccia.
La scena della doccia nel remake è stata lasciata relativamente intatta, tecnicamente. Un problema è forse che Anne Heche non dimostra la stessa sensualità di Janet Leigh che, nonostante non fosse magari considerata una vera bomba sexy, riusciva comunque a comunicare un cero sex appeal che metteva lo spettatore in condizione di volersi avvicinare di più a lei.
Nella versione di Hitchcock, vediamo una Marion che si gode la doccia, dopo essersi tolta un peso enorme dalla coscienza e aver deciso si restituire i soldi. La Marion interpretata da Heche, non sembra affatto provare piacere nel fare la sua doccia. Cosa più importante, non si sente lo stesso di avvicinarsi a lei, non permettendo allo spettatore di empatizzare a pieno con lei.
Van Sant fa una sorta di omaggio all’orignale con con l’effetto distorto nella doccia.
Quella che era una visione distorta dovuta alla plastica della tenda, è ora la visione della stessa telecamera. L’omicidio nella doccia del remake e dello Psycho di Hitchcock procedono per lo più allo stesso modo, con la differenza dell’aggiunta di più sangue (che stranamente sembra più arancione che rosso) e qualche scena con delle nuvole di vapore, quasi a voler suggerire allo spettatore che questo omicidio è una ferita alla natura stessa che induce quasi alla perdita del senso della vista.
Tra le parti più piacevoli del remake vi è l’attenzione di alcuni particolari che nell’originale erano passati in secondo piano.
Il movimento della camera che si muove e si angola in modo particolare, se negli anni ’60 non avrebbe attirato l’attenzione su di se, negli anni ’90 sembra particolarmente strano, ponendo quindi attenzione sugli elementi inquadrati. È il caso della panoramica che passa dal corpo senza vita di Marion, direttamente ai soldi facendo incuriosire gli spettatori su quale fine facciano questi ultimi.
Il significato che Hitchcock dava ai soldi, ovvero in questo contesto pari a zero, è rimarcato ed evidenziato nel remake.
Psycho (1960) vs Psycho (1998): la sorella di Marion
Sam sta lavorando nel suo negozio di ferramenta quando Julianne Moore, nei panni della sorella di Marion Lila, ci viene presentata. Questa Lila sembra una rocker con un atteggiamento piuttosto deciso e aggressivo, tutto l’opposto della Lila dell’originale. La storia qui prosegue come l’originale e Lila si incontra con Arbogast (interpretato da William Macy).
Psycho (1960) vs Psycho (1998): Arbogast vs Norman
È con l’omicidio di Arbogast, che comprende anche due scene quasi “mistiche” in più inseriti proprio nel mezzo dell’azione, che il recasting crea qualche problema evidente. Vince Vaughn è piuttosto robusto e fisicamente prestante e tutto questo altera completamente la dinamica durante le sue conversazioni con Arbogast e poi con Sam. Nel primo film, l’apparentemente innocuo Norman faceva sentire i due quasi autorizzati a essere aggressivi con lui, mentre quando il Norman del remake fa la sua comparsa in scena, nessuno sano di mente vorrebbe sfidarlo o provocarlo.
Psycho (1960) vs Psycho (1998): l’ambivalenza come tema principale
Un altro problema del remake è la deviazione, consapevole o meno, dall’elemento di ambivalenza proiettato dagli specchi. L’originale dispone di una grande quantità di specchi nelle varie scene, con molti dei personaggi che vengono riflessi al loro interno. Tutto questo rappresenta l’ambivalenza dei personaggi, elemento tematico della storia, e induce lo spettatore a prendere in considerazione tutte le similitudini e le differenze tra i vari protagonisti.
Lo stesso parallelo che c’era tra Lila e Marion, che nell’originale si somigliavano fisicamente ma differivano a livello caratteriale, va perso completamente in considerazione del fatto che Julianne Moore e Anne Heche non si somigliano neppure lontanamente, mandando all’aria anche l’elemento tematico principale. Stessa cosa si può dire del il confronto tra Sam e Norman, che contribuì notevolmente a dare delle inquietanti risonanze all’originale di Hitchcock.
Psycho (1960) vs Psycho (1998): – Luoghi umidi, freddi e bui
Un’altra alterazione piuttosto evidente è il culmine. Per tutto il film, Norman fa riferimento alla sua avversione per “i luoghi umidi, freddi e bui” che gli danno una “sensazione inquietante.” Lo dice specificamente anche quando fa la sua famosa chiacchierata con Marion e le dice che non avrebbe mai potuto lasciare la sua madre in un luogo “freddo e umido che gli ricordava una tomba,” poiché se lo facesse lei morirebbe. Ma tutti coloro che hanno visto il film sanno che in effetti lui già la tiene in un luogo freddo e umido, la cantina, e che la donna è già morta da tempo.
In effetti però, lo scantinato del remake non è decisamente freddo, buio e umido, anzi! È asciutto e luminoso, negando elementi che avevano contribuito alla personalità di Norman nell’originale e distruggendo anche l’efficacia della scena con la lampadina che oscilla che ci mostra la Signora Bates.