Errori da Oscar: le 20 più grandi ingiustizie dell’Academy
Fra poche ore nella splendida cornice del Dolby Theatre di Los Angeles il cinema celebrerà se stesso nell’89ª edizione degli Academy Award, universalmente conosciuti come Oscar. Per copertura mediatica, glamour e prestigio, si tratta sicuramente del premio cinematografico più ambito, nonché quello che ha spesso celebrato alcune delle migliori pellicole della storia della Settima Arte. Non è tutto oro quello che luccica però, perché nel corso della storia del premio ci sono state anche diverse scelte dei giurati dell’Academy che hanno lasciato e continuano a lasciare perplessi gli appassionati di tutto il mondo. Noi di Cinematographe abbiamo selezionato per voi i 20 errori più gravi commessi nel corso della storia della notte degli Oscar, concentrandoci per questione di tempo e spazio solo sulle pellicole che hanno almeno raggiunto una nomination.
Fateci sapere nei commenti quali altri errori (od orrori) ha commesso secondo voi l’Academy nel corso della sua storia!
Il trionfo di Forrest Gump
Anche se può sembrare strano, cominciamo la nostra classifica delle scelte più discutibili dell’Academy con Forrest Gump, film straordinariamente apprezzato da pubblico e critica. Lungi da noi contestare l’ottima pellicola di Robert Zemeckis, vincitrice di ben 6 statuette, ma ciò che ci lascia perplessi è il suo dominio assoluto su avversari altrettanto meritevoli, e in particolare su capolavori come Pulp Fiction e Le ali della libertà, vincitori di un unico premio in due, andato meritatamente al film di Quentin Tarantino per la migliore sceneggiatura originale. Senza nulla togliere a Forrest Gump, sarebbe sicuramente stato opportuno un maggiore equilibrio nell’assegnazione dei premi.
L’Oscar a Forest Whitaker
Forse non tutti ricordano che l’ottimo Forest Whitaker ha già al suo attivo un Oscar, ottenuto nel 2007 per la sua buona prova ne L’ultimo re di Scozia. Forse perché quella del 2007 è passata alla storia come l’edizione del primo sospirato Oscar alla regia di Martin Scorsese per The Departed, per il fatto che l’attore afroamericano condivide la scena con un altrettanto bravo James McAvoy, o più probabilmente perché L’ultimo re di Scozia, a poco più di 10 anni dall’uscita, è già caduto nel dimenticatoio. Sorge quindi legittimamente il dubbio che forse avrebbero meritato di più il premio il Leonardo DiCaprio di Blood Diamond, il giovane Ryan Gosling di Half Nelson o il Peter O’Toole di Venus, ultima candidatura del leggendario attore prima della sua morte. Un Oscar discutibile quindi, ma sicuramente meno di altri che vedremo più avanti.
Taxi Driver KO
Nella scelta da parte dei giurati dell’Academy del 1977 di non assegnare alcuna statuetta a Taxi Driver non c’è solo incompetenza, ma anche una buona dose si sfortuna. Il capolavoro di Martin Scorsese se la deve infatti vedere con agguerriti avversari come l’epico Rocky, capostipite di una saga che sembra non conoscere limiti, e due strepitose e fondamentali pellicole come Quinto potere e Tutti gli uomini del presidente, che analizzano con toni e punti di vista differenti il potere dei media e dell’informazione. La nostra opinione è che a Taxi Driver, nonostante la durissima concorrenza, manchi comunque qualche Oscar, e che la scelta da parte dei giurati dell’Academy si sia col tempo rivelata poco lungimirante.
Il grande dittatore fermo al palo
Strano parlare di Oscar discutibili riferendosi a gente come Alfred Hitchcock, John Ford e James Stewart, ma nel corso dell’edizione degli Oscar del 1941 queste colonne portanti della cinematografia mondiale hanno beneficiato di un’esecuzione la cui vittima è Il grande dittatore di Charlie Chaplin, immortale bordata a qualsiasi regime totalitario. Il film in questione, la cui portata politica e umana all’epoca probabilmente non era stata ancora compresa, è quindi clamorosamente rimasto a bocca asciutta, subendo la concorrenza di altre pellicole di assoluto valore come Scandalo a Filadelfia, Rebecca – La prima moglie e Furore. Il messaggio di Charlie Chaplin non è però stato vano, e il suo inno alla pace e alla vita risuona ancora oggi più forte che mai.
The Tree of Life a mani vuote
In un’edizione degli Oscar non particolarmente densa di film di qualità come quella del 2012, a dividersi il maggior numero di premi sono The Artist e Hugo Cabret (5 statuette a testa), mentre agli altri (The Iron Lady, The Help, Midnight in Paris) toccano le rimanenze. In un simile contesto, stupisce la scelta da parte dell’Academy di assegnare allo straordinario The Tree of Life di Terrence Malick soltanto tre nomination (le stesse di Transformers 3), senza poi conferirgli neanche un premio. A stupire maggiormente è la scelta di non nobilitare con una statuetta il magnifico lavoro di Emmanuel Lubezki sulla fotografia, realizzata quasi esclusivamente con l’ausilio della luce naturale. Quest’ultimo sarà però “risarcito” dall’Academy poco più tardi, divenendo il primo direttore della fotografia a vincere 3 Oscar consecutivi.
Il sottovalutato 8½
In un 1964 in cui viene premiato con gli Oscar per il miglior film e per la migliore regia il pomposo film britannico Tom Jones (basato sull’omonimo romanzo), a essere penalizzata è stavolta l’Italia, e nello specifico la pietra miliare di Federico Fellini 8½, che conquista solamente le statuette riservate al miglior film straniero e ai migliori costumi. Rimandato quindi ancora una volta l’Oscar alla regia per un cineasta italiano, che (escludendo il naturalizzato Frank Capra) arriverà solo nel 1988 per il lavoro di Bernardo Bertolucci su L’ultimo imperatore. Un’occasione mancata da parte del sistema hollywoodiano di premiare un immortale capolavoro di un’industria non anglofona, che in quel momento se la giocava ad armi pari con quella a stelle e strisce.
Oscar rimandato per Dustin Hoffman
L’edizione del 1968 degli Oscar premia oltre gli effettivi meriti La calda notte dell’ispettore Tibbs di Norman Jewison, importante pellicola poliziesca che ha l’indiscutibile merito di parlare apertamente dell’imperante razzismo nel Sud degli Stati Uniti, grazie anche all’ottima prova dell’attore di colore Sidney Poitier. A scaldare i cuori del grande pubblico è però l’eccezionale Il laureato, che con un formidabile Dustin Hoffman porta in scena un’inconsueta storia di sesso fra un giovane ragazzo e una donna matura (l’iconica Mrs Robinson impersonata da Anne Bancroft). Il poco più che esordiente Hoffman perde però l’Oscar a favore del non indimenticabile Rod Steiger de La calda notte dell’ispettore Tibbs, meno convincente del già citato collega Poitier.
Dustin Hoffman avrà poi modo di rifarsi nel corso della sua memorabile carriera, conquistando due Oscar come migliore attore protagonista per Kramer contro Kramer e Rain Man – L’uomo della pioggia.
L’Oscar a Jeremy Irons
Il 1991 è l’anno di Balla coi lupi, che domina gli Oscar con 7 premi, riducendo ai minimi termini il cult Quei bravi ragazzi (solo una statuetta per il non protagonista Joe Pesci), il capitolo conclusivo della saga dei Corleone Il padrino – Parte III (7 nomination e nessun premio) e la commovente love story spiritica Ghost (premiata per la sceneggiatura non originale e per l’attrice non protagonista Whoopi Goldberg). A vincere l’Oscar come migliore attore non protagonista non è però né l’eccezionale Kevin Costner di Balla coi lupi né lo straziante Robert De Niro di Risvegli, ma il trascurabile Jeremy Irons de Il mistero Von Bulow. Un riconoscimento eccessivo per un attore formidabile, non premiato in precedenza per una prova certamente più meritevole come quella in Inseparabili di David Cronenberg.
Gente comune da Oscar
L’edizione del 1980 degli Oscar ha l’indiscutibile merito di recuperare parzialmente a un grande torto commesso dall’Academy, quello di non aver mai dato un premio come attore a un gigante di nome Robert Redford. L’affascinante star centra con il suo dramma familiare Gente comune quattro premi, fra i quali una statuetta personale per la migliore regia; a farne le spese sono però almeno tre pellicole superiori a quest’ultima: Toro scatenato (premiato per il miglior montaggio e per il protagonista Robert De Niro), L’Impero colpisce ancora (sonoro e premio speciale per gli effetti visivi) e soprattutto lo straziante The Elephant Man di David Lynch, che nonostante le 8 candidature torna a casa a mani vuote. Doveroso quindi inserire questa scelta fra i più grossi errori di valutazione della storia degli Oscar.
Crash a Brokeback Mountain
Strana edizione quella del 2006. In una situazione di totale equilibrio (nessuna pellicola porta a casa più di 3 statuette), a conquistare il prestigioso riconoscimento per il miglior film è il dimenticabile e dimenticato Crash – Contatto fisico di Paul Haggis, intricato thriller a sfondo razziale incentrato sull’incrocio di diverse storie e personaggi. Bocciate quindi inspiegabilmente per il premio più importante altre pellicole più meritevoli come l’inquietante Good Night, and Good Luck di George Clooney, Munich di Steven Spielberg e soprattutto I segreti di Brokeback Mountain di Ang Lee, struggente dramma sentimentale su una storia d’amore fra due uomini, impersonati dagli stratosferici Heath Ledger e Jake Gyllenhaal.
Mulholland Drive a bocca asciutta
L’edizione del 2002 degli Oscar verrà ricordata per il sacrilego trattamento riservato al maestoso Mulholland Drive di David Lynch. Sorvolando sulla scelta di conferire a uno dei migliori film del nuovo secolo una sola misera candidatura per la regia, i giurati degli Academy compiono il fattaccio, non assegnando il premio a quello che è un vero e proprio trattato sull’utilizzo della macchina da presa per generare sogni e incubi. A venire premiato oltre i propri meriti è il Ron Howard di A Beautiful Mind, buona pellicola biografica vincitrice di 4 Oscar totali, che difficilmente verrà però citata nei manuali di regia. Nuova beffa quindi per David Lynch, ancora senza Oscar per la regia dopo le precedenti candidature per The Elephant Man e Velluto blu.
Il furto a Ingmar Bergman
L’edizione degli Oscar del 1984 sembra già servita per tributare finalmente la prima sacrosanta statuetta per la migliore regia a un gigante del cinema mondiale come Ingmar Bergman, in nomination con il suo ultimo suo straordinario film Fanny e Alexander, suo commiato alla Settima Arte. L’Oscar riservato ai cineasti finisce però malauguratamente nelle mani di James L. Brooks per il suo Voglia di tenerezza, lacrimevole commedia sentimentale del tutto priva di virtuosismi registici e sostenuta da due grandi interpreti come Jack Nicholson e Shirley MacLaine (premiati a loro volta) e da un finale di forte impatto. A Ingmar Bergman non resta quindi che consolarsi con il suo terzo Oscar per il miglior film straniero e soprattutto con l’eterna stima degli appassionati di cinema di tutto il mondo.
Agli Oscar con Daisy
Che cosa sia passato per la testa ai giurati dell’Academy nel 1990 non lo capiremo mai. A trionfare in quest’edizione è infatti A spasso con Daisy, gradevole commedia a sfondo razziale che conquista ben 4 statuette, incluse quelle per il miglior film e per la protagonista Jessica Tandy. A leggere i nomi degli sconfitti c’è però da mettersi le mani nei capelli: solo due Oscar (regia e montaggio) per lo struggente Nato il quattro luglio di Oliver Stone, e per Il mio piede sinistro (per l’attrice non protagonista Brenda Fricker e per l’attore protagonista Daniel Day-Lewis), uno (montaggio sonoro) per Indiana Jones e l’ultima crociata e nessuno per Harry ti presento Sally e Ritorno al futuro – Parte II.
A gridare vendetta è però la scelta dell’Academy di conferire un solo misero Oscar (sceneggiatura originale) all’epocale L’attimo fuggente, pellicola che grazie anche alla stratosferica prova di Robin Williams continua a ispirare nuove generazioni di cinefili. Per fortuna, il tempo ha saputo aggiustare le cose e restituire a ogni film gli effettivi meriti.
Kramer contro Kramer contro Alien contro Apocalypse Now
Il 1980 è l’anno di Kramer contro Kramer di Robert Benton, che conquista ben 5 Oscar: miglior film, miglior regia, miglior sceneggiatura non originale, migliore attore protagonista (Dustin Hoffman) e migliore attrice non protagonista (Meryl Streep). La pellicola è in realtà godibile, ben realizzata e meritevole di essere fra le prime a raccontare su schermo le difficoltà di un bambino cresciuto da genitori separati.
Non ci sarebbe da gridare allo scandalo, se non fosse per il fatto che Kramer contro Kramer battaglia contro due capolavori assoluti come Apocalypse Now di Francis Ford Coppola e Alien di Ridley Scott, senza dimenticare il magistrale Oltre il giardino di Hal Ashby. Questi tre film conquistano invece solamente 4 Oscar in totale (fotografia e sonoro per Apocalypse Now, effetti speciali per Alien e il miglior attore non protagonista Melvyn Douglas per Oltre il giardino), certificando così l’abbaglio dell’Academy.
9 Oscar per Il paziente inglese
Fra i più clamorosi abbagli della storia degli Oscar c’è sicuramente quello che nel 1997 ha avuto come protagonista Il paziente inglese, melodramma di Anthony Minghella dal pregevole impianto scenografico ma dall’esasperante prolissità narrativa, in grado di sfibrare anche i cinefili più incalliti. Il film centra addirittura 9 premi su 12, diventando il quinto film più premiato della storia (!), a pari merito con Gigi e L’ultimo imperatore. A fare le spese di questa tragica scelta sono soprattutto il gioiello dei fratelli Coen Fargo (che porta a casa solo le statuette per l’attrice protagonista Frances McDormand e per la migliore sceneggiatura originale), Shine (premiato solo per l’attore protagonista Geoffrey Rush) e il cult Trainspotting, che conquista solo una misera nomination.
L’Oscar a Nicolas Cage
Spiace infierire su un attore che negli ultimi anni è stato troppo spesso preso di mira dalla cattiveria del web e ingiustamente reso emblema della cattiva recitazione, ma l’Oscar come migliore attore protagonista vinto da Nicolas Cage nel 1996 per la sua performance in Via da Las Vegas è francamente uno dei più immeritati di sempre. In un’annata con diverse prove di spessore, da quella di Mel Gibson in Braveheart (neanche nominato nonostante 10 candidature totali del film) a quella di Sean Penn in Dead Man Walking – Condannato a morte, senza dimenticare il canto del cigno di Massimo Troisi ne Il postino, l’Academy premia invece una buona ma non eccelsa prova, che resterà comunque il più alto momento della carriera di Nicolas Cage.
Solo un Oscar tecnico per 2001: Odissea nello spazio
A tre mesi dallo storico allunaggio degli Stati Uniti, la 41ª edizione degli Oscar del 14 aprile 1969 snobba quello che è probabilmente il film ambientato nello Spazio per eccellenza, nonché uno dei migliori mai realizzati: 2001: Odissea nello spazio di Stanley Kubrick. Nel corso della sua carriera, il leggendario cineasta americano si è visto negare più volte la statuetta, ma a differenza di altre annate, in cui a superarlo sono stati avversari comunque più che meritevoli, in questo caso Kubrick si è dovuto inchinare al non altrettanto valido Oliver! di Carol Reed, adattamento del celeberrimo romanzo di Dickens Oliver Twist.
2001: Odissea nello spazio porta così a casa solo la miseria di 4 candidature e una statuetta, attribuitagli per i migliori effetti speciali. Incredibilmente, questo rimarrà l’unico Oscar dell’intera carriera di uno dei maggiori cineasti di tutti i tempi.
Quarto potere beffato
Con Quarto potere, Orson Welles realizza quello che da molti è considerato ancora oggi il miglior film della storia della Settima Arte, diventando inoltre il primo a ricevere una candidatura come attore, regista, produttore e sceneggiatore per la medesima pellicola. Su un totale di 9 nomination, nel corso dell’edizione del 1942 Quarto potere porta però a casa la miseria di una statuetta, venendo battuto su più fronti da Com’era verde la mia valle di John Ford. Un premio dato a quest’ultimo è comunque sempre in buone mani, ma ci sentiamo di affermare che in questo caso l’Academy ha peccato in lungimiranza e ha stimato male i lavori di queste due leggende del cinema di ogni tempo.
Niente Oscar per Michael Corleone
Nel corso delle edizioni del 1973 e del 1975, l’Academy compie un duplice delitto, la cui vittima è in entrambi i casi l’indimenticabile Michael Corleone portato su schermo da Al Pacino nella monumentale saga de Il Padrino. Nell’edizione del 1973, l’attore di origini italiane viene prima discutibilmente candidato solo come non protagonista, nonostante il suo minutaggio ne Il Padrino sia ben più alto di quello del collega Marlon Brando, che vincerà (e rifiuterà) la statuetta per il migliore protagonista. Ad Al Pacino sfugge però anche l’Oscar meno prestigioso, che finisce nelle mani del dimenticato Joel Grey di Cabaret.
Due anni più tardi, Al Pacino è l’indiscutibile protagonista de Il padrino – Parte II, memorabile seguito di uno dei più grandi film della storia del cinema. A giocarsi l’Oscar con lui ci sono anche il tenebroso Jack Nicholson di Chinatown, Dustin Hoffman e Albert Finney, ma il premio va all’outsider Art Carney per la sua performance in Harry e Tonto. Per Pacino oltre al danno arriva anche la beffa: un altro interprete di Vito Corleone si porta a casa l’Oscar, ed è il collega Robert De Niro, che nel corso del film impersona il padre di Michael da giovane. Ha così inizio una lunga serie di delusioni per Al Pacino in chiave Oscar, che verrà spezzata solo nel 1993, dopo ben 8 tentativi andati a vuoto, con la statuetta per la sua performance in Scent of a Woman – Profumo di donna.
La pioggia di Oscar su Shakespeare in Love
Il primo posto della nostra classifica sui peggiori errori della storia degli Oscar non poteva che andare alla scelta di conferire nel corso della cerimonia del 1999 sette (7!) statuette su tredici (13!) nomination, incluse quelle per miglior film, migliore attrice protagonista (Gwyneth Paltrow) e migliore sceneggiatura originale, a Shakespeare in Love di John Madden.
In un’annata con diverse pellicole di valore, dal war movie di Steven Spielberg Salvate il soldato Ryan al capolavoro di Terrence Malick La sottile linea rossa, passando per l’illuminante The Truman Show e l’orgoglio italiano La vita è bella, l’Academy compie infatti l’incomprensibile scelta di esaltare una pellicola davvero modesta, che basandosi su opinabili assunti sulla vita di Shakespeare imbastisce una commedia sentimentale in costume che non diverte, non commuove e non fa riflettere, in cui a salvarsi è solamente una buona ricostruzione scenica. Per gli altri rimangono solo le briciole: migliore regia e alcuni Oscar tecnici per Spielberg, premi per migliore attore, colonna sonora e film straniero per il nostro Roberto Benigni. Una scelta che a tanti anni di distanza continua a lasciare allibiti, e che rimarrà sicuramente per molti anni a venire una delle più grosse cantonate mai prese dall’Academy.