Autopsy: recensione del film di André Øvredal
Autopsy (The Autopsy of Jane Doe) del regista danese André Øvredal è uno dei migliori film horror di questo nuovo anno. Film low budget con pochi, ma davvero fantastici attori, rappresenta, quasi in via definitiva, la quintessenza del bisogno primario del genere orrorifico al giorno d’oggi.
A metà tra innovazione e old school, la pellicola cerca di scavalcare il fievole manto grigio degli effetti speciali e s’insinua sotto la pelle creando una sensazione a metà tra il terrore e lo shock. Premesse queste intenzioni va ammesso che il regista impiega tutto il suo enorme talento per “lavorarsi” lo spettatore: dalla scena iniziale del delitto (con fantastici fermi-immagine che rievocano il gusto baroccheggiante del sangue) fino all’autopsia del cadavere, costantemente colpito da significativi primi piani. Una figura che apparentemente sembra senza vita, ma che grazie alla regia centrale e predominante di Øvredal percepiamo come motore immobile della scena.
Autopsy – il cinema horror che vogliamo vedere, sempre!
Il cinema horror è noto che è arte, forse è l’ennesima potenza del cinema stesso.
Per costruire un quadro dolcemente adornato occorrono i giusti mezzi, un pizzico d’innovazione e il rispetto (se non addirittura l’esaltazione) del mos maiorum del genere. Che André Øvredal ci sappia fare con la macchina si vede fin dalle prime battute, ma nessuno poteva immaginare che l’intero apparato scenico risultasse così enormemente azzeccato e che la paura generata da un corpo apparentemente defunto potesse insinuarsi così a fondo nello spettatore. Per tutta la durata del film abbiamo paura più di ciò che potremmo vedere che di ciò che realmente vediamo. Questo è l’elemento che ha reso grandi i maestri del passato, turbando la psiche delle spettatore, dosando abilmente i jump scares e lasciando più di qualcosa dopo la visione.
Brian Cox e Emile Hirsch sono i protagonisti dell’autopsia più inquietante di sempre
Quando la polizia arriva in una casa del Virginia scopre un autentico massacro. Nello scantinato dell’abitazione viene ritrovato un corpo apparentemente perfetto. Si tratta del corpo di Jane Doe (nome generico usato nel gergo giuridico americano per indicare una donna di personalità ignota).
Il cadavere viene inviato per verifiche supplementari ad Austin e Tommy Tiden, due esperti di camera settoria e obitorio. Il corpo viene sottoposto a tutti i crismi del caso e lentamente, passaggio dopo passaggio, i due si accorgono di qualcosa di davvero agghiacciante. Il cadavere inizia lentamente a sconvolgere la loro quotidianità, ciò che sembra fantasia diventa realtà; quel corpo sembra così vivo e vigile, anche se apparentemente immobile e privo di vita. Cosa si nasconderà dietro il cadavere di Jane Doe?
Il disagio generato dal corpo è percepibile dalla stessa entrata in scena. Questi occhi grigiastri incutono davvero una gran paura e la centralità dell’immagine, la pacatezza dell’inquadratura, accompagnate da un’incisiva colonna sonora fan sì che ogni singolo frame diventi un vero e proprio incubo.
Brian Cox è il medico adulto, il cavaliere di lunga data che ha analizzato molti cadaveri e questo caso lo insospettisce molto, nonostante continui a diffidare da qualsiasi agente sovrannaturale. Il figlio, interpretato da Emile Hirsch, è il giovane della famiglia, appassionato ma distratto, sente molto i consigli del padre, ma nello stesso tempo vive in un mondo parallelo, distante ancora dalla concezione del lavoro assiduo. Come già anticipato in precedenza, anche la colonna sonora è appropriata e aiuta a generare le situazioni di pathos.
Autopsy vive di momenti intensi, fatti di terrore e decisi climax narrativi che lo rendono un vero e proprio gioiellino del grande schermo. Un film che lascia tanti punti di domanda, rivelandosi una piacevolissima sorpresa.