127 ore: la vera storia che ha ispirato il film con James Franco
127 ore. Trascorse con un braccio incastrato per colpa di un masso. Da solo. In un canyon. Questo è il film di Danny Boyle con James Franco: un surrogato di ansia, dolore e solitudine. Anche perché, grazie all’interpretazione di James Franco, lo spettatore di immedesima nelle sofferenze del personaggio e soffre con lui. Un film intenso che, forse, deve la sua riuscita anche alla storia straordinaria a cui è ispirato.
I fatti che Danny Boyle racconta in 127 ore son fatti realmente accaduti. Aron Ralston era (ed è) un alpinista americano. All’epoca dei fatti aveva 27 anni e ed era un ingegnere meccanico. Nel 2003 stava facendo la sua attività preferita: scalare. Si trovava nel Blue John Canyon, nello Utah: in pochi secondi un masso enorme si è staccato piombandogli addosso. Aron Ralston è rimasto in fondo a una fessura nella roccia, solo, con un braccio incastrato sotto il masso.
Aron Ralston, interpretato nel film da James Franco, è rimasto incastrato in un canyon per cinque giorni, 127 ore
È rimasto nel crepaccio per ben cinque giorni, 127 ore in totale. La fame, la sete, la paura e il dolore come compagni. È incredibile come James Franco riesca a restituire tutto questo sullo schermo. Ancora più incredibile è il fatto che Ralston sia riuscito a salvarsi da solo da una situazione che sembrava disperata. Era chiaro, che anche se fosse riuscito a liberarsi, non ci sarebbe stato modo di salvare i braccio. L’arto, dopo cinque giorni, era ormai in decomposizione. Per questo Aron ha preso una decisione che, per chi seduto su un divano sta leggendo questa storia, sarebbe inimmaginabile. Con il coltellino che aveva con sé, lentamente, ha tagliato l’arto che non poteva salvare.
Il Telegraph, tempo fa, ha pubblicato un estratto del libro scritto da Ralston. Il libro è stato la traccia che ha guidato la composizione del film. Nelle sue pagine, l’autore descrive le interminabili ore trascorse nel crepaccio:
“Miserabile, guardo un’altra ora vuota trascorrere. Non ho nient’altro da fare. Non sto vivendo. Solo con l’azione la mia vita si avvicina a qualcosa di più della semplice esistenza. Senza nessuna prova, o stimolo, non sto più vivendo, non sto neanche sopravvivendo. Sto solamente aspettando. Vorrei pulire lo sporco dal mio braccio, dalla ferita aperta. Prendo il mio coltello e inizio a rimuovere lo sporco dalla mano incastrata usando il coltello come se fosse un pennellino. Rimuovendo il pietrisco dal pollice, accidentalmente ho affondato la lama. Un piccolo pezzo di carne decomposta si è staccato. Mentre veniva via come la pellicola sopra al latte bollito, ho realizzato cosa stava accadendo. Dopottutto, sapevo già che la mia carne si sarebbe decomposta”.
Oggi Aron ha una protesi a cui può attaccare sia una mano, sia dei rampini. Questo gli ha consentito di riprendere l’attività che più ama: scalare
Bastano queste poche parole a farci capire la sofferenza patita da Aron in quei cinque giorni. Grazie al suo coraggio però, Aron Ralston, è tornato alla luce, è riemerso dal crepaccio. L’anno dopo ha scritto il suo libro, pubblicato con il titolo Between a rock and a hard place. Ma il lieto fine per Ralston non è finito qua: infatti, il suo coraggio non si è fermato alla scelta difficile di quel giorno. Una scelta che lo ha salvato. Oggi Aron ha una protesi a cui può attaccare sia una mano, sia dei rampini. Questo gli ha consentito di riprendere l’attività che più ama: scalare.