Apocalypto: recensione del film diretto da Mel Gibson
Apocalypto è un film del 2006 scritto e diretto da Mel Gibson, alla sua quarta regia dopo L’uomo senza volto, Braveheart – Cuore impavido e La passione di Cristo. La pellicola è ambientata nello Yucatán del 1500 e recitata interamente nella lingua maya yucateca, scelta che ha spinto il regista a scritturare quasi esclusivamente attori locali e non professionisti.
Apocalypto è stato accolto da molte polemiche in tutto il mondo, scaturite sia dalla rappresentazione particolarmente severa e parziale del popolo maya del tempo, sia dall’alto grado di violenza contenuto nella pellicola, che non risparmia ferite esposte, mutilazioni, decapitazioni e altre sequenze potenzialmente indigeste a un pubblico facilmente impressionabile. Nonostante ciò, il film ha incassato circa 120 milioni di dollari in tutto il mondo (a fronte di un budget di circa 40), conquistando anche alcuni importanti riconoscimenti come le tre nomination all’Oscar per miglior trucco, sonoro e montaggio sonoro.
A cavallo fra XV e XVI secolo, la civiltà maya presentata in Apocalypto è in forte declino, afflitta da siccità, peste e l’imminente invasione da parte degli occidentali. Per fermare questo processo, le alte cariche delle principali città maya decidono di rastrellare uomini e donne dei piccoli villaggi per offrirli in sacrificio agli dei, nella speranza di ottenere la loro benevolenza.
Un gruppo di guerrieri capeggiato da Occhio Mezzo (Gerardo Taracena) e Lupo Zero (Raoul Trujillo) attacca così il villaggio guidato da Cielo di Selce (Morris Birdyellowhead), decimando la popolazione e sequestrando i pochi superstiti. Fra questi ultimi c’è il figlio del capo villaggio Zampa di Giaguaro (Rudy Youngblood), che prima del sequestro riesce a nascondere figlio e moglie incinta in una piccola cavità naturale al riparo dagli invasori. Per Zampa di Giaguaro ha così inizio una durissima lotta per la sopravvivenza sua e della sua famiglia.
Apocalypto: una crudele avventura sospesa tra tribalismo e spiritualità
Dopo le fortissime polemiche per il presunto antisemitismo e la crudeltà contenuta in alcune sequenze de La passione di Cristo, Mel Gibson sceglie con Apocalypto nuovamente il sangue e la violenza più estrema come mezzi espressivi portanti del suo modo di fare cinema e di raccontare l’umanità.
Del Mel Gibson privato si è detto di tutto o quasi, dalle estreme e controverse posizioni in ambito politico e religioso alle accuse di violenza domestica, razzismo e omofobia, passando per una dipendenza dall’alcool che lo terrà lontano dalla regia fino all’acclamato La battaglia di Hacksaw Ridge, con cui la stella di Hollywood ha centrato un grande successo nel suo difficile cammino di rinascita fisica, interiore e lavorativa.
Difficile quindi non scorgere nel materiale filmico di Apocalypto vari riferimenti all’uomo Gibson, da una brutalità insistita e a tratti quasi compiaciuta a una netta posizione sulla società americana e più in generale sull’occidente, esplicitata al di fuori di ogni dubbio dalla citazione di Will Durant che apre il film: Una grande civiltà viene conquistata dall’esterno solo quando si è distrutta dall’interno.
Apocalypto si trasforma in un vero e proprio action movie ad ambientazione giungla
Proprio quest’ultima frase rappresenta non solo un fedele riassunto del Gibson pensiero, ma anche una chiave di volta con cui interpretare e dare profondità a questa crudele avventura sospesa tra tribalismo e spiritualità. La civiltà maya che il regista ci presenta in Apocalypto è infatti una società fortemente corrotta, fiaccata da divisioni interne e afflitta dalla presunzione di essere portatrice della verità e della giustizia, paragonabile (con le debite proporzioni) agli Stati Uniti degli ultimi decenni.
Mel Gibson mette quindi volutamente in secondo piano i progressi sociali e scientifici della civiltà maya (molto più evoluta di come viene presentata), per rivolgere alla sua patria un monito sui rischi connessi a una sconsiderata politica interna, prima ancora che sulle possibili contaminazioni dall’esterno; lo fa con il suo peculiare stile feroce e iperrealista, teso a immedesimare lo spettatore nella sofferenza fisica e psicologica del protagonista.
Il tessuto narrativo di Apocalypto è diviso in tre atti dissimili ma complementari fra loro. A una prima parte dai ritmi più dilatati, volta a introdurre protagonisti e tratti distintivi della loro piccola comunità, fa seguito una fase centrale in cui l’azione si fa più tesa e concitata, basata sulla distruzione del villaggio di Zampa di Giaguaro e sulla presentazione dell’opulenta e devota aristocrazia maya, disposta a sacrificare i propri fratelli più deboli e disagiati per riti e credenze religiose assurde e ingiustificabili persino per l’epoca. Proprio un fenomeno dai sempiterni richiami mistici come un’eclissi di sole segna l’inizio del terzo e ultimo segmento, in cui Apocalypto si trasforma in un vero e proprio action movie ad ambientazione giungla, incentrato sulla disperata e agguerrita lotta per la sopravvivenza del protagonista Zampa di Giaguaro.
Mel Gibson affronta ed esorcizza la violenza mostrandola senza limitazioni e in ogni sua sfumatura
Nonostante l’ultima parte risenta di qualche lungaggine di troppo e sacrifichi la solidità della sceneggiatura in nome di azione e spettacolarità, è proprio in questa fase che Mel Gibson dà il meglio di sé. Assistiamo infatti a un’impressionante serie di scene ai limiti dello splatter e del gore, girate con sorprendete realismo ed estrema precisione.
Qualcuno parlerà di brutalità gratuita o di ingiustificata spettacolarizzazione dell’aggressività umana, ma per l’autore Gibson l’unico modo di affrontare ed esorcizzare la violenza è quello di mostrarla senza limitazioni e in ogni sua sfumatura, fino a spingersi all’eccesso e al parossismo. Un modo di raccontare e fare cinema forse limitato e fastidioso per molti, ma in perfetta linea con quanto già visto ne La passione di Cristo e più recentemente ne La battaglia di Hacksaw Ridge, che ha portato a Mel Gibson una moltitudine di meritati elogi.
Un finale consolatorio e allo stesso tempo amaro e beffardo congiunge degnamente la finzione scenica e la storia reale, dando profondità e spessore a un pregevole action movie d’autore. Il taglio quasi documentaristico del regista è accentuato dalla convincente fotografia di Dean Semler, che accompagna lo spettatore nella lotta dell’uomo contro la natura e contro se stesso. Buona anche la prova del cast (visto e considerato che stiamo parlando di attori non professionisti), agevolato da perfetti trucchi e costumi, che contribuiscono a dare a ogni personaggio una caratterizzazione unica e definita.
Apocalypto è un’opera esasperata e non perfetta, inevitabilmente destinata a polarizzare l’opinione di pubblico e critica, in cui coesistono poesia e disumanità, carnalità e misticismo, massacri e nascite, dolore e incrollabile amore. La conferma della maestria di Mel Gibson dietro la macchina da presa e del suo controverso, contraddittorio ma innegabilmente fascinoso modo di raccontare i lati oscuri dell’animo umano e della nostra società.