Interstellar: recensione
Se dovessimo descrivere cos’è un’emozione in Interstellar potremmo azzardare dei possibili punti fermi nei quali essa è: la capacità di determinare i cambiamenti puramente fisiologici e strettamente necessari per sostenere le risposte adattive dell’organismo; la preparazione ad una possibile azione, la possibilità di regolare le relazioni interpersonali, comunicando i propri progetti e le proprie intenzioni attraverso l’espressività.
Christopher Nolan, regista straordinariamente innovatore nelle categorie filmiche affrontate durante la sua carriera, imbastisce quello che va a delinearsi come il film dell’anno, beatamente a braccetto con Gone – Girl di David Fincher.
La tradizione dell’archetipo fantascientifico presente nella pellicola è forte, a tratti dominante, è un ritorno al classicismo aureo con l’ausilio di mezzi tecnologici all’avanguardia tali da far sentire lo spettatore un viaggiatore disperso in galassie e tempi remoti. Se 2001: Odissea nello spazio è uno affresco cinquecentesco di caravvegesca memoria, Interstellar è un quadro moderno che risente però dell’influenza dei sui predecessori non copiandone l’esseza stessa ma cercando di generare “qualcos’altro da quel mondo”. Quindi se Kubrick accarezzava il tempo, Nolan ne assapora l’essenza, rompendo gli schemi senza essere mai banale.
La tradizione dell’archetipo fantascientifico presente nella pellicola è forte, a tratti dominante, è un ritorno al classicismo aureo con l’ausilio di mezzi tecnologici
È pur vero che a confezionare questo splendido mosaico vi sono forse tre dei migliori attori presenti in circolazione: un Matthew McConaughey sopra le righe che dimostra ancora una volta di essere un magistrale interprete, dotato di un carisma, di una mimica facciale che sono difficilmente eguagliabili; altra straordinaria figura è quella Anne Hathaway, già interprete sopraffina nella saga de “Il Cavaliere Oscuro” , splendida anche Jessica Chastain, abile nel recitare un ruolo incredibilmente sentimentale e ottime anche le prove di Michael Caine (non è una novità) e di Matt Damon seppur relegato ad un piccolo ruolo, ai limiti del cameo.
Interstellar – un viaggio cosmico
La storia di Cooper è in piccolo, la voglia di emergere e di plasmare il futuro dell’essere umano, cosciente dell’essere “faber fortunae suae”. Il pianeta terra, ormai quasi inabitabile, flagellato da continue tempeste di sabbia e carestie sempre più dilaganti, vede nelle figure di Cooper (McConaughey), di Amelia Brand (Hathaway) e del professor Brand (Caine), tre icone per l’unico possibile salvataggio del genere umano: il viaggio interstellare. Con l’ausilio delle più moderne tecnologie, l’equipaggio dell’Endurance affronterà la più grande spedizione spaziale nella storia del genere umano, alla ricerca di altri mondi abitabili. Per farlo, cavalcherà inesorabilmente i concetti di tempo e spazio, attraversando galassie ai confini dell’immaginazione.
Sta alla caparbietà e al coraggio di Cooper dimostrare che l’unico concetto che trascende tempo, luogo e spazio è l’amore, quello di padre affettuoso e premuroso verso i suoi figli, con un promessa nel cuore, tornare da loro e salvarli dalla catastrofe imminente. Durante il viaggio i membri dell’Endurance dovranno passare per pianeti inospitali, sommersi dalle acque o stretti in una terribile morsa di gelo, attraversando i confini della realtà stessa.
La splendida cornice ricamata da Nolan stupisce per possanza e portata tecnica ma anche per uno straordinario impatto visivo. Se è vero che il cinema ormai non riesce più a produrre argomenti originali, Interstellar dimostra per converso che è ancora possibile modellare opere peregrine anche non alienandosi completamente dal classicismo di genere.
Il mondo dei tesseratti quantistici di Nolan rompe le regole del tempo e della filosofia ad esso collegato, innescando una reazione a catena, la quale trova la sua magistrale conclusione nel concetto più semplice e nello stesso tempo complesso di sempre: l’amore, l’elemento principe della più grande forma d’arte della storia, l’essere umano. Poesia siderale.