1992: recensione della serie tv su Tangentopoli
Qual era il volto dell’Italia nel 1992? Tangentopoli e Lorella Cuccarini, Mani Pulite e l’arrivo di Berlusconi: uno scenario che si delinea in tutta la sua squallida veridicità nelle inquadrature che si tengono per mano al fine di corredare la serie televisiva 1992, andata in onda su Sky Atlantic.
Leonardo Notte (Stefano Accorsi), Veronica Castello (Miriam Leone), Pietro Bosco (Guido Caprino), Antonio Di Pietro (Antonio Gerardi), Luca Pastore (Domenico Diele), Rocco Venturi (Alessandro Roja) e Beatrice “Bibi” Mainaghi (Tea Falco) sono le pedine di questa giostra in cui, attraverso un accattivante gioco di specchi, viene a galla la realtà che si respirava nel Bel Paese 23 anni or sono.
Stefano Accorsi, tra l’altro ideatore della serie andata in onda in dieci puntate su Sky Atlantic e prodotta in collaborazione con Wildeside e La7, non si distacca dal suo ruolo di eccellente lavoratore al quale va tutto splendidamente bene, peccato poi qualche magagna da tenere nascosta, che lo porta ad inevitabili tormenti. Un playboy affascinante, maturo, poco responsabile e che sa il fatto suo; sempre pronto a mimetizzarsi in base alle mutazioni del sistema. Cosicché da vecchio comunista diviene il sostenitore principale, nonché l’incarnazione stessa del berlusconismo.
A ricordargli l’omicidio che lo vede coinvolto, Rocco Venturi, che affianca il pool di Mani Pulite anche se ad averle in pasta (le mani) è proprio lui. Con la sua personalità da bulletto poco raccomandabile si intrufola tra le beghe della legalità usandola a suo uso e consumo e innescando un’autentica macchina da soldi che fino all’ultima puntata non si capisce dove vadano a finire. E cosa farà il buon Leonardo Notte per non scalfire il suo volto perfetto? Liberarsi delle tracce, compreso l’ultimo uomo a conoscenza dei fatti.
Antonio Gerardi veste splendidamente i panni del magistrato Antonio Di Pietro: scorbutico, testardo, inarrestabile, con la camminata a rallentatore e il sigaro in bocca che fanno sembrare quasi invincibile la legge dei giusti. Un excursus, il suo, che si inaugura con l’arresto di Mario Chiesa per concludersi con l’arrivo a Craxi, riguardo alle cui vicende ruota l’intera indagine del pool. Marginale, in tal contesto, l’immagine del procuratore Saverio Borrelli, decisamente stravolta rispetto ai fatti reali, tanto che in un’intervista rilasciata all’Huffington Post pochi giorni fa, lo stesso Di Pietro dice, commentando il ruolo di Borrelli, che gli sceneggiatori l’hanno descritto come colui che si voleva liberare del fascicolo e un Di Pietro che si oppose facendo finta di essersi dimenticato dei 15 giorni previsti dal codice per la direttissima e invece, continua di seguito Devo rendergli onore perché non ha mai cercato di frenarmi.
Gli occhi di Gerardi sono lo specchio di una storia sicuramente nota, ma che forse meritava non semplici stralci, bensì autentici focus, se non altro per far rendere conto agli spettatori di quanto il 1992 non sia stato solo l’avvento di un nuovo modo di agire e pensare, bensì il fil rouge di ciò che siamo oggi.
Così passano dallo schermo luminoso della tv anche la morte di Falcone e Borsellino, Cosa Nostra e lo scambio di tangenti; si intravedo lo sporco dei conti in Svizzera e quello ancor più lurido della sanità.
A pagarne le spese, persone come Luca Pastore, anch’egli facente parte della squadra Di Pietro, pronta ad ostacolare corruzione e concussione. E anche lui, come tutti, ha un segreto da nascondere: l’Aids contratto a causa di quel sangue sporco finito tra gli ospedali per via di un sistema che coinvolse i vertici della Sanità e, tra i tanti, Mainaghi, imprenditore senza scrupoli che, dopo aver affrontato in parte l’iter della legge, decide di togliersi la vita.
Nella questione Mainaghi convergono due lady, due arrampicatrici che usano astutamente i loro mezzi per raggiungere il traguardo. Così si delinea tra le lenzuola del vecchio uomo d’affari Veronica Castello che, indossando i panni della panterona senza sentimenti e con la sola voglia di sfondare nel mondo della televisione, fa cadere davvero in basso la dignità del genere femminile. Ma si sa, la politica e l’impresa sporca fanno promesse per poi non mantenerle cosicché, prima di arrivare a sculettare per l’agognato Domenica In, la bella ex Miss Italia dovrà scaldare diversi letti, salvo poi arrivare in quello dell’uomo giusto: Pietro Bosco.
Quest’ultimo, interpretato da un eccellente Guido Caprino, è forse l’unico personaggio soggetto a un cambiamento consapevole (insieme a Bibi, che però mantiene inalterati e anzi rafforza i connotati di malvagità). Soldato radiato con disonore per aver difeso l’onore di un compagno defunto, ex rugbista e ubriacone, come gli rimprovera il padre. Ha una corazza rude, quasi sprezzante, ma un animo buono, dignitoso, fatto di sani principi che più volte si trova a bypassare per favorire le persone a lui care, prima tra tutti Veronica.
È nel suo volto giovane e sprovveduto che si apprendono le vicende della Lega Nord – in cui entra a far parte per puro caso – che nella pellicola acquista le caratteristiche del “nuovo che avanza”, con inni che scherniscono la Roma ladrona e tutto il cliché che, in fondo, non si discosta poi molto dai nostri giorni.
È uno dei personaggi per i quali si prova maggiore tenerezza, forse perché è l’unico che in un caos putrido e schifoso, cerca ancora di tenersi ancorato ad un’etica. Proprio come Luca, anche lui lotta per riscattarsi, dimostrare al mondo che l’ultima parola non è stata detta.
L’altra lady collegata al Mainaghi è invece la figlia Bibi: una viziata arrogante a riguardo della quale preferisco tralasciare l’interpretazione della Falco, forse non eccellente alle orecchie degli intenditori, ma certo eccessivamente criticata. Una ragazzina che sniffa e frequenta locali poco raccomandabili, emarginata dalla famiglia per il suo atteggiamento e abbigliamento da “punk bestia”, che d’un tratto si ritrova impelagata nelle questioni più scabrose dell’azienda. Beatrice si lascia manovrare prima da Luca Pastore (col quale ha una storia d’amore), poi dagli avvocati fraudolenti e dagli affari sporchi. È fragile dentro ma crea una barriera talmente spessa da non lasciar fuoriuscire nessun barlume di speranza.
Sulla scena si intrecciano poi, come in un’enorme ragnatela, tante personalità secondarie ma efficaci a disegnare l’Italia del 1992, come la giornalista Giulia Castello (Elena Radonicich), sorella di Veronica, della quale rappresenta l’esatto opposto: brava, lavoratrice, raggiunge la tv esclusivamente per merito!
E poi come dimenticare Viola (Irene Casagrande), figlia di Leonardo Notte e fresca rappresentante di una generazione di cui, se vi guardate bene intorno, trovate facilmente gli strascichi!
Che dire di questa prima rappresentazione della storia recente? Si credeva di aver toccato il fondo, di aver sradicato il male dalla radice, eppure il risultato è che la malavita e la corruzione si sono evolute: sono state legalizzate, rese normali e scontate.
E tutto questo non può che farci pensare, ma soprattutto vergognare di come, un Paese così ricco di bellezze culturali ed artistiche, fornisca una tale abbondanza di materiale sufficiente alla creazione di una fiction. Non documentario, né tantomeno cinema d’inchiesta, bensì una telenovela per chi vuole rilassarsi la sera.
Nessun fraintendimento, per carità! Una serie piacevole, con una colonna sonora che da sola ne vale la visione, ma forse fin troppo romantica e morbosamente legata al modus vivendi dell’italiano medio; quello che per ricevere deve necessariamente dare, per esistere deve apparire, per raccontare la storia degli anni andati deve costruirci sopra una fiaba e venderla a buon mercato.
Ma, come viene detto nel penultimo episodio, È necessario che ciascuno scenda almeno una volta nel proprio inferno.
E forse ci serve proprio questo: scendere nel nostro inferno per rimetterci a pari con i conti. E mentre meditiamo, attendiamo il sequel!