La finestra sul cortile: analisi del film di Alfred Hitchcok
Rear Window (La finestra sul cortile), del 1954 diretto da Alfred Hitchcock, è uno dei grandi film sul cinema. Il regista, secondo quanto leggiamo nell’analisi filmica condotta da Paolo Bertetto, propone una riflessione sullo statuto del cinema, sulla tecnica cinematografica e sulla relazione spettatoriale, senza che sia mai mostrato nulla effettivamente riconducibile all’universo del cinema.
Come dichiara Hitchcock “il film ha come struttura di base essenzialmente la visualità”.
Nella prima inquadratura la macchina da presa visualizza un settore circoscritto di una stanza con una grande finestra e riprende il sollevarsi delle tendine che impedivano la visione del cortile e delle finestre dei palazzi di fronte. Col secondo movimento di macchina allo spettatore è permesso di avanzare fino quasi a superare le finestre. Questo movimento permette quindi di avere una visione complessiva più chiara dello spazio in cui si svilupperà il film. La seconda inquadratura inizia con la ripresa, in basso, di una scala di pietra dove troviamo un gatto nero, manifestazione di un certo humor hitchcockiano. Successivamente la macchina da presa sale e inizia una panoramica molto ampia dal basso a destra verso l’alto a sinistra. Questo movimento articolato della macchina da presa è posto a esibire e a valorizzare le stesse capacità tecnico-spettacolari del cinema. Alla fine della seconda inquadratura torniamo all’interno della stanza e scopriamo la presenza di un uomo, Jefferies (Jeff), che dorme.
La terza inquadratura ci presenta una ripresa in continuità che termina con la messa a fuoco dell’appartamento di fronte del musicista, uno dei tanti vicini del protagonista.
L’inquadratura successiva mostra, all’interno della stanza di Jeff, diverse foto, macchine fotografiche e apparecchiature tecniche che alludono direttamente al cinema e che servono a caratterizzare meglio il protagonista.
Jeff, interpretato da James Stewart, è un fotoreporter di successo momentaneamente relegato in casa a causa di una frattura alla gamba.
Hitchcock, attraverso il personaggio di Jeff, propone la sua riflessione sul rapporto spettatoriale e sul voyeurismo. Il protagonista può guardare e interpretare ciò che vede, senza poter intervenire direttamente a influenzare lo svolgersi della vicenda. La situazione di Jeff rinvia chiaramente alla situazione dello spettatore cinematografico, definito appunto un voyeur. Thelma Ritter nei panni di Stella, l’infermiera del protagonista, nella terza sequenza del film, accusa Jeff di essere un voyeur con l’espressione “Siamo una bella razza di guardoni”. Nell’economia del film questa scena serve a sottolineare che se Jeff non fosse un voyeur il film non avrebbe ragione di svilupparsi.
Il regista usa obiettivi a focale lunga e spesso ricorre ad obiettivi a focale lunghissima anomali per offrire allo spettatore immagini simili a quelle che vede Jeff. Il protagonista, infatti, si serve spesso del binocolo, di una macchina da presa a focale lunga e del teleobiettivo per osservare le vicende quotidiane dei suoi vicini di casa e in particolare per indagare sui comportamenti sospetti di Thorwald. Quest’ultimo sembra aver commesso l’omicidio della moglie. Tutto il film è articolato intorno a due linee narrative distinte: da un lato la storia thriller che ruota intorno allo smascheramento dell’assassino Thorwald, dall’altro lato assistiamo allo sviluppo di una storia sentimentale, quella che lega Jeff a Lisa, l’elegante Grace Kelly nel ruolo di una ragazza sofisticata e bellissima che non riesce a farsi breccia nel cuore del protagonista.
Solo quando Lisa oltrepassa il cortile ed entra nella casa di Thorwald, esponendosi ad una situazione di pericolo, entra nel desiderio di Jeff. Tutte le inquadrature di Lisa nella casa dell’assassino sono alternate a contro campi di Jeff che osserva preoccupato. Hitchcock produce una situazione di suspense molto intensa. Quando Lisa è aggredita da Thorwald lo spettatore si trova a identificarsi contemporaneamente con l’angoscia di Jeff e con quella di Lisa. Questo raddoppiamento dell’identificazione è il motivo per cui lo spettatore è portato a provare più angoscia di fronte all’aggressione di Lisa di quanta ne provi successivamente quando assiste all’aggressione dell’assassino a Jeff. Nel secondo caso, infatti, non è prevista nessuna identificazione con un altro soggetto che assiste all’evento dall’esterno.
Nel film prevalgono le soggettive del protagonista. La posizione voyeuristica di Jeff è messa in discussione esclusivamente nella scena in cui Thorwald rivolge il suo sguardo verso le finestre di fronte, accortosi della presenza di un soggetto esterno che lo osserva.
Per l’intero film, inoltre, il sapere dello spettatore coincide con quello del protagonista. Solo in un momento si passa da una focalizzazione interna ad una focalizzazione zero, nella quale il sapere dello spettatore e quello di Jeff non coincidono. Nella notte dell’assassino il protagonista vede Thorwald uscire di casa con una valigia sotto la pioggia, ma alle sei del mattino non si accorge che l’assassino è uscito di casa con una donna in nero. Questo passaggio, tuttavia, non risulta particolarmente determinante nell’economia della storia.
Infine, potremo rintracciare nel film quegli elementi che rinviano esplicitamente a qualche componente del cinema.
Il formato rettangolare delle finestre, visibili sulla facciata del palazzo di fronte casa di Jeff, evoca l’inquadratura. Nel caso, ad esempio, dell’appartamento di Thorwald, osservato tramite tre finestre, si può anche parlare dell’evocazione della funzione del montaggio, somma di più inquadrature.
Non si può negare che La finestra sul cortile sia un film intessuto, in ogni scena, di valenze metacinematografiche.