Cannes 2015 – La Foresta dei Sogni: recensione del film di Gus Van Sant
La Foresta dei Sogni, ultimo lavoro di Gus Van Sant, si apre con un biglietto aereo di sola andata per una destinazione esotica: ciò che potrebbe rappresentare un nuovo inizio, tuttavia, è il modo in cui Arthur (Matthew McConaughey) ha deciso di mettere fine alla propria esistenza, “scegliendo un posto bellissimo”, come promesso alla moglie prima che un’assurda morte la portasse via. Destinazione la “Suicide Forest” ai piedi del monte Fuji, in Giappone, un luogo bellissimo e dall’oscuro fascino esoterico, nel quale eloquenti quanto inquietanti cartelli riportano messaggi su come la vita sia preziosa, ultimo disperato tentativo di dissuadere gli avventori del luogo, decisi a farla finita.
La Foresta dei Sogni (titolo originale The See of Trees) getta velocemente le premesse di quello che ambiva ad essere un film magico e ricco di suggestioni: peccato che, dopo un inizio che promette tantissimo, la narrazione si perda nei meandri della foresta oscura, trascinando con sé gli spettatori e le performance di attori altrove confermati come indiscussi fuoriclasse ma che qui faticano a trovare la giusta connessione con i propri personaggi. Colpa innanzitutto di una scrittura poco accurata e molto didascalica, che presenta le peculiarità dei personaggi attraverso una rapida descrizione delle stesse, relegando all’eloquenza delle immagini – e quindi del cinema – quei piccoli gesti di delicato amore tra moglie e marito che rivelano, dietro la spessa coltre del risentimento, un legame puro e sincero.
La relazione tra i due viene ricostruita attraverso numerosi flashback. Arthur e Joan (Naomi Watts) sono (stati) una coppia problematica: lei agente immobiliare impegnata a far quadrare il bilancio economico della famiglia, lui scienziato realizzato ma con salario insufficiente, il loro rapporto si rannuvola di recriminazioni reciproche a causa della dipendenza dall’alcool di lei, aggravatasi dopo la liaison amorosa con una collega che Arthur si era concesso tre anni prima. Dopo il tragico evento, il senso di colpa per non aver saputo amare a salvare la moglie è la molla che fa scattare nell’uomo l’urgenza di togliersi la vita ma, una volta nella foresta, l’incontro col giapponese Takumi (Ken Watanabe) sarà destinato a cambiare non solo i propositi di Arthur ma la sua intera Weltanschauung.
La Foresta dei Sogni: Gus Van Sant perso nei meandri della selva oscura
Uno dei maggiori problemi dell’ultimo film di Gus Van Sant è il suo averci abituati a capolavori di ben altro livello; se questa fosse stata un’opera prima gli si sarebbero perdonate le molte ingenuità ma così non è. E mentre Cannes rimpiange i fasti di Elephant, Palma d’Oro nel 2003, lo spettatore resta incredulo di fronte alla prevedibilità di una storia che non riesce a riservare colpi di scena nemmeno alla vigilia delle scene clou ed in cui si fatica a trovare il tocco del grande regista. Anzi, quando il ripetere disperato ed ossessivo della frase “mi dispiace” da parte del protagonista rimanda in automatico al “non è colpa tua” di Robin Williams a Matt Damon in Will Hunting viene davvero da piangere, ma per l’immediata percezione dell’abisso che separa l’intensità dei due momenti cinematografici. Che peccato.