Mad Men: recensione
Sì è conclusa domenica la saga epocale di Mad Men, serie tv della AMC che ha raccontato in sette stagioni la vita americana degli anni sessanta attraverso un’agenzia pubblicitaria di New York e gli occhi di Donald Draper. Lo show ha debuttato nel 2007 ed è andato avanti per otto anni e sette stagioni, conquistando pubblico e critica per l’accuratezza dei fatti storici (si passa dalla campagna presidenziale e poi l’assassinio di Kennedy alla crisi dei missili di Cuba, fino alle lotte per la conquista dei diritti civili degli afroamericani) che hanno sempre fatto da sfondo alle vicende dei protagonisti, ma anche i continui sottotesti e riferimenti, i dialoghi intensi, l’ottima recitazione e le citazioni letterarie, musica e libri dell’epoca. Non a caso, la serie creata da Matthew Weiner ha ricevuto numerosissimi premi, quali 15 Emmy Awards e 4 Golden Globes.
Mad Men non è una serie per tutti e ne è la prova la sua programmazione a stento qui in Italia. Troppo costosa per l’importazione, probabilmente è considerato uno show di nicchia e non è facile star dietro ai tratti psicologici dei personaggi; perché è proprio di introspezione che si parla, ma non solo: gli stati d’animo dei vari personaggi sono resi benissimo tra dialoghi o anche solamente con i gesti, ed è questo che ha reso Mad Men una serie unica nel suo genere. Protagonista indiscusso resta comunque il fumo, e non a caso il pilot si intitolava Smoke Gets in Your Eyes.
I riflettori sono tuttavia puntati su Donald Draper, che rappresenta forse uno dei personaggi più complessi della serialità televisiva degli ultimi dieci anni. Jon Hamm veste magistralmente i panni del tenebroso e affascinante pubblicitario della Sterling Cooper di Madison Avenue, e per la sua interpretazione è stato premiato con il Golden Globe nel 2008. All’inizio della serie, Don appare come un uomo in carriera di successo con una famiglia apparentemente felice che tutti invidiano. Si circonda di donne e diverse amanti, risolve brillantemente i problemi sul lavoro, ideando spot pubblicitari all’ultimo minuto. Lo spettatore è portato a chiedersi cosa ci sia sotto questo personaggio che viene presentato come un eroe. E infatti il vero passato del pubblicitario viene a galla lentamente nel corso delle sette stagioni, riuscendo a gestire abbastanza bene la sua vera identità per ben dieci anni.
Il passato di Don Draper è uno dei filoni centrali di Mad Men. Il suo vero nome è Dick Whitman, figlio di una prostituta con cui suo padre, proprietario di una fattoria, passò una breve nottata insieme. Cresce in un ambiente povero, causa la Grande Depressione dell’epoca. L’ambiente familiare non è da meno, e l’unico rapporto più ‘amorevole’ è quello col fratello Adam. Negli anni ’50 si arruola nell’esercito per sfuggire alla triste realtà in cui vive ed è sotto il comando del tenente Don Draper. Quando questi muore, Dick riesce a scambiare la sua identità con la sua: per lui è l’occasione di cambiare vita. Indosserà quindi una maschera e diventerà un famoso pubblicitario stimato e amato da sua moglie Betty (January Jones), una specie di moglie trofeo, dalla quale avrà due figli, l’irrequieta Sally e il piccolo Bob.
Amato sopratutto dalle donne, Don allaccia un rapporto particolare con la sua segretaria Peggy Olson (Elizabeth Moss), poi promossa da lui a copywriter, l’unica che nel corso della serie riuscirà a capirlo e a mantenere il riserbo sulle sue questioni delicate. Don è il solo a sapere che lei ha avuto un figlio illegittimo da Pete Campbell (Vincent Kartheiser) che aveva dato in adozione e l’aiuta a lasciarsi alle spalle il suo dramma.
Oltre Donald Draper, Mad Men è comunque una serie corale; chi sono quindi “gli uomini cattivi”? Il citato Pete vive un rapporto di rivalità con Don, sentendosi svalorizzato da quest’ultimo. E’ giovane, ambizioso, e tenta spesso di sabotare il lavoro di Draper, eppure è un legame ambivalente: vede in lui sia un nemico e sia un mentore, arrivando a diventare alla fine leale e fiducioso nei suoi confronti. Perfino il finale di serie ci mostra un Pete intenzionato a fare grandi cambiamenti nella sua vita, vedendo che ormai ha già dato tutto alla Sterling Cooper. Arriviamo a quest’ultimi, i veri fondatori dell’agenzia pubblicitaria. Roger Sterling (Jon Slattery) è un playboy attraente, forte bevitore e fumatore (chi non lo è in Mad Men?) che ha una relazione altalenante nel corso della serie con la fascinosa segretaria Joan Holloway (Christina Hendricks). Bertram Cooper (Robert Morse) è il fondatore dell’agenzia, un uomo stravagante che non indossa mai le scarpe nel suo ufficio costellato da arte giapponese, di cui è un avido intenditore. Forse è lui l’uomo più morale di Mad Men, che lascia la serie la sera stessa in cui assiste allo sbarco sulla Luna; Don ha visioni di Bertram mentre danza e balla sulle note di “The Best Things in Life Are Free” (Le cose belle delle vita sono gratis).
Mad Men ha saputo raccontare il percorso e la lotta delle donne per far affermare i loro diritti, e chi meglio di Peggy e Joan potevano rappresentarlo? Le due donne vengono da due estrazioni sociali differenti, così come lo sono di carattere. Joan rossa ed estroversa, Peggy mora e insicura, che decide di cambiare look nella seconda stagione su consiglio della sua mentore e successivamente amica. In un periodo, gli anni ’60, in cui le donne venivano sottovalutate e giudicate per il loro aspetto, Peggy ha saputo far carriera pensando esclusivamente al lavoro (e forse per questo è la più penalizzata: mentre tutti si fanno una vita, lei si chiude in un ufficio per dare il meglio), Joan ha saputo, invece, diventare indipendente da tutti, uomini compresi, senza far leva sul suo aspetto fisico.
Mad Men ci saluta così lasciando una vena di malinconia sui mitici anni sessanta, forse gli anni più belli del boom economico, della musica e del cinema, e con un Donald Draper che fa pace con se stesso, accettando ciò che è davvero: un pubblicitario di Madison Avenue che trova ispirazione per una delle pubblicità più famose. Quella della Coca Cola.