Full Metal Jacket: la recensione del film di Stanley Kubrick
Andando ad analizzare in maniera certosina perché l’intenzione di Stanley Kubrick trascenda dall’analisi politica e, da un certo punto di vista, anche da quella storica, potremmo tuttavia affermare che, Full Metal Jacket parla in modo chiaro e inequivocabile della Guerra del Vietnam. Gli eventi raccontati nella seconda parte del film sono quelli dell’offensiva del Tet, il Capodanno lunare che costituiva la principale festività per i vietnamiti. È Joker stesso a indicarci questa data poco dopo l’inizio del secondo segmento del film.
Questo attacco da parte dei nordvietnamiti avvenne nel mese di gennaio del 1968; una delle basi dei Marine assediate fu quella di Khe Sanh, di cui si parla anche nel romanzo. Una delle battaglie più aspre si svolse invece nella città di Hué, in mezzo a quelle stesse rovine in cui ritroviamo Joker e i suoi compagni nel film. Benché colti di sorpresa, americani e sudvietnamiti riuscirono a riportare l’ordine e a recuperare i territori persi; questa battaglia rappresenta uno degli episodi più cruenti dell’intera Guerra del Vietnam.
Dunque possiamo sostenere che c’è un contatto tra la pellicola e un particolare episodio della Guerra del Vietnam; anche i luoghi geografici corrispondono al reale teatro di guerra vietnamita. Tuttavia, l’intenzione di Kubrick è molto lontana dalla pura e semplice messa in scena documentaristica.
Se a un livello più superficiale pare utilizzare tutti i canoni del war film classico (le fasi dell’addestramento, quelle della battaglia, le figure del sergente istruttore e del nemico), ad uno studio più approfondito possiamo riscontrare una sovversione completa di tali caratteristiche.
Kubrick persegue un obiettivo estetico che dia un effetto di reale, il tutto in modo astratto. È per questo motivo che possiamo parlare di “verosimilitudine astratta”. Prendiamo il campo di Parris Island, per esempio: è sicuramente un luogo reale, verosimile, ma al contempo è un posto al cui esterno sembra non esistere niente; non avrebbe neppure senso che qualcosa si intromettesse in questa fortezza militare dove gli uomini vengono privati della loro individualità per diventare macchine da guerra.
Anche nella seconda parte del film assistiamo a un’astrazione dei luoghi, con quella dis-ambientazione di cui sopra che consiste nell’eliminare l’immaginario comune della giungla per sostituirlo con un’ambientazione cittadina; il ricorso all’urbanistica di Londra fa sì che lo spettatore abbia davanti un’atmosfera più simile a quella della Seconda Guerra Mondiale che non a quella del Vietnam; in questo modo Kubrick ottiene un effetto di straniamento e smarrimento che è condiviso dallo spettatore e dai personaggi. Nella seconda parte i Marine arrivano a perdersi nel vero senso della parola. Caratteristica del regista è, d’altra parte, quella di accostare continuamente spazi verosimili, ordinati e razionali ad altri indistinti e privi di punti di riferimento.
Sempre a proposito dell’ambientazione, possiamo affermare che la fabbrica abbandonata che vediamo è vera, è un’architettura pre-esistente, ma il fatto che nel film prenda le sembianze della città di Hué è falso; la fabbrica non è una città, ma non è neppure la ricostruzione realistica di una città. È verosimile il fatto che rappresenti una città, ma è una città astratta.
Un discorso analogo può essere fatto a proposito del sergente Hartman: questo personaggio è interpretato da un vero ex- combattente dei Marine, Lee Ermey; ci si può chiedere se siamo di fronte a un sergente dei Marine trasformato in attore o a un attore di seconda linea che aveva trovato impiego come sergente dei Marine. Non riusciamo a comprendere appieno che cosa sia verosimile, se il suo ruolo cinematografico o la sua funzione militare.
Inoltre, come avevamo visto in Apocalypse Now, anche nella pellicola di Kubrick si fa spesso ricorso a quegli elementi che tendono ad annullare l’illusione di realtà, eliminando il verosimile filmico: ci stiamo riferendo alla lunga sequenza in cui i personaggi principali vengono intervistati da una troupe televisiva e al fatto che lo stesso protagonista sia un reporter.
Joker e il suo compagno Rafterman sono rispettivamente giornalista e fotografo del periodico dell’esercito Stars and Stripes. Questo crea un effetto per cui i momenti della guerra e quelli dell’immagine della guerra si implicano a vicenda e si legano indissolubilmente eliminando la sensazione di illusione filmica.