My Old Lady: recensione
Reduce da una fortunata tournée teatrale prima a New York e poi in Europa, My Old Lady approderà sui grandi schermi italiani il 20 novembre distribuito da Eagle Pictures; frutto dell’ adattamento cinematografico di una sceneggiatura dell’acclamato drammaturgo Israel Horovitz, egli stesso ha dichiarato di aver scritto questo copione con la profonda convinzione che un giorno avrebbe costituito il suo debutto alla regia di un lungometraggio, e così è stato.
My Old Lady è stato realizzato a partire da un consiglio che il compianto collega e maestro Sidney Lumet, diede un giorno ad Horovitz: “Scegli grandi attori e levati di mezzo”; grazie alla grande esperienza – sul palco e sul set – dei tre protagonisti, la pellicola può infatti vantare la capacità di scorrere senza intoppi, laddove l’azione è sapientemente ed armonicamente sostituita dall’estrema confidenza e sincerità che traspare dai dialoghi.
Un film intimo, ricco di spunti di riflessione e che riesce a sfiorare temi delicati – come le conseguenze della negazione dell’amore genitoriale su un figlio ormai cresciuto – con la leggerezza di una commedia brillante, in cui è l’interpretazione di uno straordinario Kevin Kline a rendere i numerosi spunti tragi-comici divertenti e non opprimenti.
Mathias (Kevin Klein) è uno spiantato newyorkese che, grazie alla morte di un padre dal quale non si è sentito mai amato, intravede nell’eredità di un appartamento a Parigi la soluzione della parte economica dei suoi tanti problemi: giunto sul posto, tuttavia, il protagonista scopre che la casa in questione è stata acquistata dal padre con la singolare formula contrattuale del viager, e cioè, potrà essere ereditata solo alla morte dell’ anziana ma sanissima inquilina (Maggie Smith) che, nel frattempo, ha diritto di riscuotere fino alla sua dipartita un vitalizio mensile di 2400 €.
Sconvolto dalla notizia e senza un quattrino in tasca, Mathias dovrà ingegnarsi per aggirare questo inpreventivato ostacolo e, imparando nel frattempo a conoscere l’indesiderata e carismatica signora, intraprenderà un viaggio nel suo passato, alle radici del malessere che lo ha reso un adulto infelice.
My Old Lady è un film che possiede due livelli di lettura, perfettamente amalgamati grazie al grande talento dei protagonisti: la signora Mathilde, con la sua precisione e i suoi scaltri espedienti per godersi ciò che le resta della vita togliendosi ogni sfizio, non può fare a meno di ispirarci simpatia ma, tuttavia, scopriremo che proprio il proposito di perseguire la sua felicità, l’ha portata ad essere la causa, nel corso della propria esistenza, della tristezza delle persone che l’hanno circondata; perché, come il film ben chiarisce, l’amore è qualcosa di finito e, per darlo a qualcuno bisogna per forza di cose levarlo a qualcun altro. Mathias, d’altra parte, ci diverte e ci sorprende con i suoi mille escamotage per riuscire a vendere la casa e contemporaneamente sostenere la spesa del vitalizio ma, dietro la sua facciata comica, nasconde l’enorme tragedia di un bambino non amato dal padre e cresciuto da una mamma infelice.
A completare il quadro, la figura della seconda “vittima” della felicità altrui: Chloé (Kristin Scott-Thomas), la figlia di Mathilde che, seguendo le pericolose orme della sua ingombrante mamma, ha speso più della metà della propria vita cercando la serenità nel posto sbagliato: le famiglie degli altri; inizialmente contrariata dalla presenza di Mathias, Chloé imparerà gradualmente a distinguere le vittime dai carnefici, trovando finalmente il proprio posto nel mondo proprio dove non l’avrebbe mai cercato.
My Old Lady ci sorprenderà con un finale inaspettato, dimostrando di essere un film capace di intrattenere ed, allo stesso tempo, riflettere sulle conseguenze del proprio egoismo e sul fatto che la felicità è una negoziazione con il resto del mondo e non un diritto assoluto da esercitare con noncuranza. Consigliato.