Babadook: alle radici psicologiche del terrore, tra lutto e negazione
Babadook è un horror che si fa parabola discendente di una mancata elaborazione del lutto. Vediamo insieme quali contributi della psicologia possono aiutarci a comprendere gli eventi del film.
Babadook (recensione) è già stato definito uno dei film horror più spaventosi degli ultimi anni e un “capolavoro” da grandi maestri quali Stephen King. Ma cosa si nasconde dietro a questo minaccioso Uomo Nero, oscuro ed indefinito? Da dove deriva realmente il terrore sperimentato dalla mamma vedova Amelia e dal suo figlioletto Samuel? Alle radici della profonda paura e della figura del Babadook vi è il percorso di vita di questa famiglia zoppa e dissestata, alle prese con un’elaborazione del lutto complessa e traumatica, costellata dalle insidie della negazione e del mancato accoglimento del dolore, col risultato di catapultare Sam e la sua fragile mamma in un pericolosissimo e terrificante labirinto psicologico, la cui via di uscita risiede unicamente nell’affrontare il mostro del dolore con coraggio e risoluzione.
Due le prospettive, completamente differenti: da una parte Amelia deve affrontare lo sgomento di una vita nata dalle ceneri di quella del marito, morto la stessa notte in cui la donna ha dato alla luce la sua creatura. Come conciliare lo stato di grazia della maternità con il profondo dolore per la perdita dell’uomo della propria vita? Amelia reagisce chiudendosi in se stessa, respingendo e negando il dolore, sbattendogli la porta in faccia…la stessa porta che lascerà entrare il Babadook, pronto a portarsi via corpo e anima dei due protagonisti.
Samuel, dal canto suo, è solo un bambino, con la sfortuna di essere cresciuto da una mamma profondamente depressa, incapace di accompagnarlo nel percorso di accettazione del fatto di non avere un papà, evento per il quale il piccolo nutre un inconscio senso di colpa; inoltre, Samuel è terrorizzato dalla paura di perdere anche la madre e, come solo i bambini sanno fare, affronta il mostro della morte attrezzandosi per combatterlo e sconfiggerlo, qualora dovesse giungere per reclamare la sua mamma.
Nessuno può parlare di quanto successo la notte in cui è nato Samuel, Amelia rinchiude tutto ciò che concerne la vita del marito in un tetro sottoscala, alimentando inconsapevolmente il terrore del piccolo, al quale non viene offerta la salvifica possibilità di guardare in faccia il mostro della perdita, per poi superarlo in modo sano ed evolutivo.
Un’elaborazione del lutto, quindi, che non segue il suo percorso naturale, negando la luce alla vita dei protagonisti. Ma quali spunti offre sull’argomento la psicologia? Dove si colloca “l’errore” che ha spinto Amelia e Samuel nelle braccia del Babadook? Tante le teorie in merito, noi ne abbiamo scelte 2 tra le più significative ed utili per addentrarci nei meandri della psiche dei nostri sventurati personaggi.
La prima appartiene al padre della psicoanalisi, il celeberrimo Sigmund Freud che, nel suo libro Lutto e melanconia (1915) confronta il sentimento del lutto con quello della depressione. Per Freud il lutto non è solo il dolore per la morte di una persona cara ma può essere altresì legato alla perdita della libertà personale o di un ideale che, nel caso di Babadook, potrebbe essere semplicemente quello di una vita normale, all’interno di una famiglia unita e non disastrata dal trauma di una morte così difficile da accettare. L’elaborazione del lutto, secondo il Maestro, è un’attività dell’Io (la parte consapevole della nostra personalità) che agisce sui ricordi legati al dolore della perdita per attenuarne gradualmente la carica di sofferenza che essi portano.
Non è uno stato patologico di per sé ma può diventarlo qualora le normali fasi che l’individuo deve attraversare per giungere all’accettazione e quindi al superamento dell’evento subiscano un’impasse. In questo caso può prendere il sopravvento (come sembra essere successo ad Amelia) la melanconia, uno stato depressivo in cui non solo viene a mancare l’affetto della persona cara, ma la propria stessa autoconsiderazione, e la scarsa autostima finisce per impoverire l’Io al punto che la persona colpita comincia a negare l’amore a se stessa (evidente nel film il profondo ed inappagato bisogno di calore ed intimità di Amelia), con il risultato dell’instaurarsi di una pericolosa proiezione tra oggetto perduto ed Io, che diviene vittima dell’ombra della persona perduta…con conseguenze imprevedibili e terrificanti.
La scissione porta Amelia ad incarnare la morte stessa, in uno stato mentale profondamente alterato molto vicino alla schizofrenia, in cui la donna si trova a lottare con un lato oscuro che può essere gestito solo abbandonando la negazione e affrontando il terrore urlandogli in faccia il proprio desiderio di salvarsi e salvare Samuel.
Babadook: l’escalation della paura
Altresì importante il contributo di John Bowlby, psicologo britannico la cui Teoria dell’attaccamento è ancora oggi il maggior modello di riferimento per la psicologia dello sviluppo. Per lui il lutto è l’evoluzione della normale angoscia da separazione che tutti i bambini sperimentano nei confronti delle figure di riferimento, e che ha la determinante funzione evolutiva di mantenere i bambini vicini al loro caregiver. Come apprendiamo dal testo Una base sicura (1988), il lutto subentra quando la perdita non è solo una minaccia ma si fa reale: comprende la collera, diretta contro terzi, contro se stessi e talvolta contro la persona scomparsa, il rifiuto di credere che la perdita sia avvenuta e una tendenza, spesso inconscia, a cercare la persona perduta nella speranza di un ricongiungimento. Risposte simili vengono osservate nei bambini e, a partire da questi dati, è stato possibile identificare le caratteristiche del lutto patologico e le condizioni che promuovono la condizione sana e quella deviata.
La credenza, messa in atto anche da Amelia, che i bambini non siano in grado di sperimentare il lutto, deriva da generalizzazioni erroneamente fatte derivare dall’analisi di quei casi in cui il lutto segue un corso atipico. In molti casi, infatti, tale andamento dipende proprio dal fatto che il bambino (proprio come accade a Samuel) non riceva informazioni adeguate su cosa sia accaduto, oppure dal fatto che nessuno gli dimostri comprensione e lo aiuti a venire gradualmente a patti con la perdita subita. Nel caso di Samuel, poi, il tutto viene aggravato dal non aver nemmeno conosciuto la persona perduta, un fatto che non fa che alimentare idealizzazioni e fantasie oscure, che promuovono il verificarsi dei comportamenti problematici e delle crisi di nervi che tanto spaventano sua madre.
Bowlby sostiene che per chi subisce una perdita, solo il ritorno della persona venuta a mancare potrebbe essere fonte di conforto e nessun tentativo di consolazione può edulcorare il difficile percorso verso l’accettazione. Lo psicologo descrive 4 fasi del lutto, partendo proprio dal dolore implacabile provocato dalla ricerca della persona perduta: la prima fase è lo stordimento, legato ai primi momenti che seguono la ricezione della notizia; segue poi la fase di ricerca e struggimento, che può durare anche anni; in questa fase si alternano la certezza della morte e l’impossibilità di crederci, oltre al sentimento della collera.
Il tentativo spasmodico di restare legati e ricongiungersi alla persona cara lascia spazio gradualmente all’accettazione del fatto che la perdita è permanente e al conseguente ingresso nella terza fase, quella dell’organizzazione e disperazione, alla quale Amelia, negandosi la possibilità di lasciarsi sopraffare dal dolore, non è mai approdata. Se lo avesse fatto, sarebbe giunta alla quarta, salvifica, fase, la ridefinizione di se stessi e della situazione, attraverso la quale, una volta “ricollocato” emozionalmente il marito nel suo mondo interno, avrebbe magari potuto trovare un nuovo compagno a beneficio anche del rapporto con il figlio.
Alla luce di quanto argomentato, quindi, è più facile arrivare alla profonda morale di Babadook, un film in cui l’orrore nasce dai nostri stessi fantasmi: i mostri spesso non si nascondono sotto il letto o dentro gli armadi, ma nei meandri di ciò che non vogliamo affrontare, rendendo la nostra vita un vero inferno, un avvincente e terrorizzante incubo che Babadook dà la possibilità di affrontare dalla nostra rassicurante poltrona.