Lo sciacallo – Nightcrawler: recensione
Un film scritto e diretto da Dan Gilroy, con Jake Gyllenhaal, Bill Paxton, Rene Russo e Riz Ahmed. Fotografia di Robert Elswit, musiche di James Newton Howard, scenografie di Kevin Kavanaugh, costumi di Amy Westcott.
Louis Bloom (Jake Gyllenhaal) è un trentenne senza lavoro, tutto quello che sa lo deve al Web e ai corsi online. Una notte assiste per caso ad un incidente stradale e scopre l’esistenza dei videoreporter notturni che accorrono a filmare le scene dei disastri. Decide di diventare uno di loro, il migliore. Possiede le qualità necessarie al mestiere, l’occhio indiscreto e la curiosità macabra per i fatti di sangue. Scambia una bici rubata con una telecamera e uno scanner per intercettare le trasmissioni radio della polizia di Los Angeles, impara i codici delle emergenze e si mette a caccia di incidenti, incendi, scene del crimine ed orrori vari. La strategia è semplice: più sangue troverà e meglio verrà pagato dalle TV locali, fameliche di immagini crude da servire a colazione nelle Breaking News. Prende come assistente un poveraccio, Rick (Riz Ahmed), che paga solo 30 dollari a notte e vende il suo materiale a Nina Romina (Renè Russo), cinica e spietata producer della KNLA. Lou è ambizioso, è determinato, è privo di scrupoli e vuole essere ossessivamente il primo ad arrivare sulla preda. Inizia a riprendere ogni incidente o atto criminale, cerca le vittime nei quartieri bene della città per fare più sensazione. Svolge il tutto in modo talmente spietato da arrivare ad inquinare le prove, spostando gli oggetti per ottenere inquadrature più intense oppure muovendo i corpi per mettere l’atrocità a favore della mdp. I suoi reportage sono scioccanti, come servono a Nina, il cui committment è “Pensa al nostro TG come una donna seminuda che corre in strada con la gola squarciata”, per mantenere audience e posto di lavoro. Ben presto Louis Bloom diventa il primo tra gli sciacalli.
Il film racconta questa forma estrema di rappresentazione delle notizie in tele-cronaca nera, la loro manipolazione voyeuristica fino a stravolgere l’identificazione dei fatti. La logica espressiva sta nella quantità di dettagli di sangue mostrati e nella localizzazione spaziale e metaforica della violenza che li ha prodotti.
La nostra esperienza cinematografica è piena di nottambuli stralunati, fuori orario e fuori di testa, cattivi taxisti o cattivi tenenti, angeli custodi o diavoli collaterali, o di un fotoreporter come Bernzy-Joe Pesci che negli anni ’40 si muoveva lungo il tempo disperato della notte e della città intercettando la radio della polizia e portandosi un laboratorio nel bagagliaio della macchina. Il videoreporter Gillenhaal è allucinato e meticoloso, non scatena violenza, la sovrasta ed esagera oltre ogni aspettativa, travolgendo ogni confine etico dell’informazione pur di trasformarla in denaro. E’ un nottambulo sinistro, pazzo e reale, oscuro e sgomento, misero ed entusiasta. Il film non è un capolavoro ma si può vedere, nella speranza che la contaminazione sempre più estesa dei nuovi media visuali stermini la televisione degli sciacalli a colpi di smartphone.