Venezia72 – Rabin, the Last Day: recensione
Rabin, the Last Day è il nuovo film di Amos Gitai, incentrato sull’assassinio dell’ex Primo Ministro di Israele e Premio Nobel per la Pace Yitzhak Rabin. L’opera è stata accolta con entusiasmo ed emozione a Venezia72, dove è stato presentato in una sala gremita di persone, fra le quali era presente anche l’ex Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
La sera del 4 novembre 1995 Yitzhak Rabin fu ucciso dall’estremista Yigal Amir con due colpi di pistola a bruciapelo, al termine di una manifestazione a favore degli accordi di Oslo, che per le prima volta dopo tanti anni avevano dato una speranza di pace e di interruzione del lunghissimo conflitto arabo-israeliano, simboleggiata dalla storica stretta di mano fra lo stesso Rabin e Yasser Arafat sotto gli occhi del presidente degli Stati Uniti Bill Clinton.
Amos Gitai sceglie di integrare il film con un grande numero di immagini di repertorio dell’epoca ma anche con ricostruzioni che riprendono fedelmente quanto accaduto; decide inoltre di non fermarsi alla mera cronaca dell’omicidio del premier israeliano, ma di analizzare a fondo sia le negligenze e i macroscopici errori commessi dal servizio di sicurezza dell’evento che il contesto socio-politico, affidando la descrizione di entrambi gli aspetti alle indagini della Commissione Shamgar chiamata a investigare sui fatti, che occupano la maggior parte della durata della pellicola. Ci viene così dipinto il quadro di una società vittima degli estremismi religiosi e politici: i sionisti e gli oppositori di Rabin, che lo paragonano apertamente a Hitler, arrivando addirittura a invocare la sua morte per avere tradito il proprio popolo con un accordo considerato umiliante nei confronti di Israele. Questo trasforma automaticamente Rabin in un nemico della patria.
Difficile non rimanere intimamente colpiti dalle agghiaccianti parole pronunciate durante gli interrogatori dall’assassino Yigal Amir, che non dimostra mai un minimo di rimorso o pentimento per ciò che ha fatto, dalle immagini di una durissima seduta parlamentare in cui dall’opposizione viene impedito volutamente e sistematicamente al premier di parlare e spiegare le proprie posizioni o l’inquietante scena in cui una psicologa assoldata dai detrattori di Rabin delinea il profilo psicologico di uno schizofrenico basandosi prevalentemente sulle immagini televisive del leader israeliano.
Rabin – The Last Day: un equilibrio perfetto fra realtà e finzione
La regia di Amos Gitai è rigorosa e affidata prevalentemente a lunghi piani sequenza e a insistiti primi piani volti a enfatizzare le parole dei soggetti inquadrati, integrando abilmente realtà e finzione, che si allacciano a partire proprio da una ripresa amatoriale dell’omicidio del premier, riprodotta maniacalmente dal regista dalla stessa angolazione.
I punti deboli di questa miscela fra cinema e documentario risiedono soprattutto nelle scene dell’arrivo in ospedale del premier, molto statiche e poco credibili per una situazione del genere, in una durata spropositata, che supera il muro delle due ore e mezza rendendo inevitabile qualche calo di concentrazione anche negli spettatori più attenti e motivati e in una maniera di esporre i fatti certamente dettagliata e precisa, ma che può penalizzare coloro i quali non conoscono bene alcuni degli avvenimenti narrati, che vengono dati per scontati. Nonostante questi punti a sfavore però, non si può non rimanere scossi dalla descrizione di una società che, almeno in una sua parte, sembra non avere la minima intenzione di cambiare e di cercare un confronto civile con la controparte e dalla triste vicenda di un leader consapevole che quanto stava facendo non era né perfetto né duraturo, ma ugualmente fermo e deciso nel cercare la pace a ogni costo. Peccato che sia stato brutalmente fermato un attimo prima di cambiare le cose, con le conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti noi ogni giorno.