Fantastic 4 – I Fantastici Quattro: recensione
Era il 2008 quando Jon Favreau portò al cinema Iron Man, il primo prodotto cinematografico di casa Marvel degno del nome di “blockbuster”, un film che segnò l’inizio dell’era dei cinecomic di impatto mediatico all’interno dell’industria cinematografica mondiale.
Prima che la Marvel diventasse parte integrante della Disney, diverse major hanno acquisito negli anni la partnership per lo sfruttamento di determinati brand, poi tornati direttamente alla sede principale ( Daredevil e Spider-Man sono gli esempi più recenti).
Per far sì che i franchise non vadano persi, ci sono due cose da fare: allearsi con chi ha creato i personaggi e studiare un percorso cinematografico/televisivo degno di nota, oppure mantenere i diritti producendo pellicole senza spina dorsale in fretta e furia.
Fantastic 4 (I fantastici quattro) fa parte della seconda categoria; ma procediamo con ordine.
Il giovane Reed Richards prova la teoria della smaterializzazione. Aiutato dal Dottor Storm, scopre che la materia non viene smaterializzata, ma mandata in un altro luogo sconosciuto all’uomo. Insieme ai fratelli Storm e al genio Victor von Doom costruirà una macchina capace di portare l’uomo in questo “pianeta zero”.
In preda agli effetti dell’alcool, Reed, Johnny e Victor, aiutati dal migliore amico di Reed Ben Grimm decidono di compiere personalmente il viaggio alla scoperta di una nuova fonte energetica, ma qualcosa va storto: aiutati da Susan che tenterà di riportarli sulla Terra, i cinque ragazzi subiranno mutazioni permanenti che li trasformeranno in qualcosa di diverso…
Partiamo dal fatto che la trama di I fantastici quattro non è assolutamente da buttare via, il film di Josh Trank è totalmente diverso dai prodotti dedicati alla famiglia dei supereroi portati in scena anni addietro dai film di Tim Story (escludendo quello del 1994, mai uscito e molto più fumettoso): meno comicità, più “terrore puro”, meno colori più dark.
Se si fosse fermato a queste cose, il film poteva anche funzionare: per la prima volta viene analizzato il problema legato ai superpoteri, il dolore fisico, la totale paura di diventare mostri, un cattivo veramente cattivo e spaventoso, il governo che tenta di aiutare i ragazzi ma allo stesso tempo li trasforma in un’arma; insomma la realtà (a livello di fumetti si intende) davanti a dei superpoteri. Ma quindi cosa è andato veramente storto? Tutto il resto.
La storia, seppur ispirata alla serie ultimate con qualche cambiamento, è davvero eternamente lunga, talmente lunga da far sembrare i 100 minuti di durata eterni: nella prima ora e dieci della pellicola i cinque lavorano alla “macchina” e vengono portati sul “Pianeta Zero”, dall’ora e dieci all’ora e venti i quattro scoprono i loro poteri, in ciò che resta della pellicola affrontano il “cattivo” e salvano il mondo.
Il cast, seppur quando è stato annunciato ha fatto crescere diversi dubbi, bisogna dire che funziona sotto questa versione: una delle cose più preoccupanti poteva essere la scelta di far interpretare Johnny Storm ad un ragazzo di colore, che invece non si nota minimamente perché già dalle prime scene si spiega che quella adottata è Susan, quindi il discorso legato alla fedeltà ai fumetti passa in secondo piano. Chi non funziona però è Michael B. Jordan, che porta in scena una torcia umana fredda e molto cupa. Per quanto riguarda gli altri membri del cast, se Miles Teller e Kate Mara rimangono nella media dei film di supereroi (ed è un complimento, data la pellicola) insieme a Jamie Bell che presta viso (poco) e voce a Ben Grimm/The Thing, la vera punta di diamante (e forse unico motivo per andare a vedere il film) è Toby Kebbell, che interpreta un Doctor Doom veramente spaventoso e estremamente crudele.
Gli effetti speciali, seppur limitati all’ambiente e che non presentano nulla di nuovo rispetto ai protagonisti, fanno il loro dovere, legati alle poche scene d’azione presenti nel film e uniti ad una colonna sonora sopra la media.
In conclusione I fantastici quattro ricorda l’episodio pilota di una serie tv cancellata ancor prima di partire, un film senza una parte centrale che funge solo ed esclusivamente da preludio a qualche altro episodio che, ci auguriamo, non vedrà mai la luce.