Venezia72 – l’omaggio al genio di Pier Paolo Pasolini
Se per Pier Paolo Pasolini la morte consisteva non nel non poter più comunicare, bensì nel non poter essere più compresi allora ci si avvicina maggiormente al significato che egli ha dato alla sua intera esistenza, caratterizzata dalla dolcezza e dalla purezza dei suoi sentimenti e dall’amara consapevolezza del disfacimento morale e politico di un Italia ormai sul punto di soccombere al potere mediatico e consumistico. Con la sua ultima ed immensa opera, Salò o le 120 giornate di Sodoma egli dipinge un cupo e deplorevole quadro dei tristi residui della repubblica di Salò, equivalente, come lui stesso ha affermato, della repubblica di Vichy dopo l’invasione nazista in Francia; attraverso questi due espedienti Pasolini ci racconta il degrado psicofisico di un popolo devoto alla legge del più forte, alla legge che promuove falsi valori e alla legge di chi ormai ha sesso di porsi domande circa cos’è giusto e cos’è sbagliato, favorendo il dilagare di azioni dettate non dal ragionamento e la coscienza, ma da primordiali istinti animaleschi. Per lui tutto ciò che ha inquadrato, che ha voluto rappresentare in Salò è politica, dalla sodomia alla coprofagia ed è sicuramente una previsione non meno pessima di quella che affrontiamo al giorno d’oggi, la previsione di un visionario mai compreso e decisamente avanti anni luce dalla sua contemporaneità.
Pier Paolo Pasolini – l’intellettuale corsaro
Di Pasolini ci resta l’amore sconfinato verso la cultura classica e la tradizione degli antichi tragediografi greci, grazie all’esempio del quale ha potuto operare due trasposizioni cinematografiche di due delle più grandi tragedie del V secolo: l’Edipo Re e la Medea. Il primo caratterizzato da una riuscita messa in scena e da un Ninetto Davoli quanto mai forte ed intenso che si incarna totalmente nell’animo del personaggio tragico ideale, come fece senza dubbio la splendida Maria Callas, nella sofferta interpretazione della maga della Colchide. Nel cinema egli ha trasposto ogni cosa, ogni cosa sotto forma di poesia, ogni sentimento umano e ogni pulsione emotiva, dall’arte e dall’amore al mero piacere fisico del sesso nella sua Trilogia della Vita, ma anche il verso una borghesia scialba ed insignificante in Teorema, in cui la banale vita di una famiglia milanese viene rovesciata dall’arrivo di un ospite, provocando nei protagonisti e nello spettatore lo stesso sconvolgimento ideologico e mistico di Salò. Un animo complesso quello di Pasolini, la cui dolce spiritualità si evince soprattutto nei suoi componimenti poetici, tra cui non posso non annoverare la raccolta dei “versi a Casarsa”, dedicato al padre nel frontespizio e in parte anche all’omonimo paesino di origine della madre; leggendo i versi di queste poesie si immagina nostalgia, tenerezza e meraviglia nei confronti di una piccola e forse dimenticata realtà e di una lingua, il friulano, destinata soltanto al parlato che Pasolini ha voluto proprio riportare su carta bianca. Di intellettuali come Pasolini, Ungaretti o Moravia ormai non ci rimangono che i versi e le dottrine, dottrine filosofiche di personaggi che, cinquant’anni fa, erano nettamente superiori ad ogni livello di chi ci governa o di chi crede di “pensare” oggi;
“Ogni uomo è fatto in modo diverso nella sua combinazione spirituale, ogni uomo è a suo modo anormale, in contrasto con la natura, e l’atto di civiltà, di prepotenza umana sulla natura è di per se un vero e proprio atto contro natura”
Giuseppe Ungaretti intervistato da Pasolini sul concetto di “normalità”. La modernità e la potenza di questo pensiero è spiazzante.