The Prestige: recensione

Siamo a Londra, età vittoriana, l’età che in molti assumono come un periodo freddo e classicheggiante, ma che in realtà ha segnato l’inizio dell’era moderna, con l’incedere dell’elettricità, del telefono e delle teorie evoluzionistiche. E’ in questo panorama brulicante che si sfidano a colpi di prestigio i due protagonisti: Robert Angier (Hugh Jackman) e Alfred Borden (Christian Bale). La loro rivalità appare subito sullo schermo, ma riceve una spinta drammatica con la morte di Julia (moglie di Robert) in seguito ad un errore di scena di Alfred. L’ambizione che caratterizza i due personaggi estraniandoli dal resto del mondo, li porta a calcare due strade professionali differenti, solo per avere la possibilità di prevalere uno sull’altro. Da una parte Angier diventa famoso con il nome Danton, ma l’ossessione per il rivale – che si farà chiamare il Professore – lo porta a viaggiare oltreoceano in cerca del tesoro più prezioso: il segreto di Borden. Per quanto poco spettacolare, Borden possiede, infatti, un numero tanto semplice nella forma quanto sorprendente: il trasporto umano. Solo la morte di Angier e la conseguente incarcerazione di Borden (trovato sulla scena del delitto) segnano l’apparente fine della loro “partita”. L’ossessione, la malata ambizione dei due prestigiatori – e per Danton il mantra l’uomo va al di là di ciò che può afferrare– costituisce la grana di questo film.

Graphic art

Primo atto: la premessa

Graphic art

Secondo atto: la svolta

Graphic art

Terzo atto: il prestigio

La storia, tratta dall’omonimo romanzo di Christopher Priest, rielaborata poi da Nolan e dal fratello Jonathan (uno studio traspositivo di ben cinque anni), rivela una struttura tripartita che ricalca l’iter di ogni prestigiatore: prima assistiamo ad una premessa (the pledge), dove il trucco è già celato agli occhi degli spettatori; segue la svolta (the turn), in cui avviene un cambiamento e, infine, il prestigio (the prestige, appunto) ci restituisce lo stadio iniziale giocando sull’incredulità del pubblico. E’ esattamente questo che riscontriamo nel film, e sono le primissime parole che pronuncia Borden ad accoglierci nel suo numero di prestigio: “osserva attentamente”. Ma, contrariamente a quanto si possa pensare, il prestigio non è così ben celato. Non una svista ma una strategia che distoglie l’attenzione dall’aspetto magico del racconto, in modo da concentrarsi sui personaggi. Se Angier viene affiancato da Cutter (l’onnipresente Micheal Caine) come ingènieur (un misto tra un’agente, un coach e un ingegnere appunto), Borden ha sempre con se il fidato Bernanrd Fellon [SPOILER], ovvero il proprio gemello mascherato (e visto sempre di sbiego), chiave per il suo numero più famoso: il trasporto umano. Alla vista di questo numero scatta in Angier la molla della cieca ambizione che lo porta prima a trovarsi un sosia – interpretato tanto bene da Jackman stesso da farci pensare che sia veramente un sosia – e in seguito ad utilizzare la macchina clonatrice di Tesla, l’unica forma di magia (nei panni di fanstascienza) di tutto il film. Per quasi metà film, l’identità del gemello viene sapientemente messa in secondo piano, fino a quando il duo decide di mettere in scena il proprio grande numero e le identità di Fellon e Borden si avvicendano. [SPOILER]A differenza di Angier che di propri doppi ne crea (e ne uccide) a centinaia, ponendosi il problema della visibilità o della propria morte, Borden decide di dividere il palcoscenico (teatrale e di vita) con il proprio fratello (ma ciò lo scopriremo solamente alla fine). E’ da questo momento che assistiamo ad una valanga di indizi sulle loro identità sempre crescente. Non è difficile distinguere Borden da Fellon: il primo riveste i panni del dionisiaco avventato, colui il quale cova rivalità per Angier, mentre il secondo appare più mansueto e sottomesso. Con l’entrata in gioco dell’avvenente Olivia (Scarlett Johansson) si increspa l’immagine di Borden che, noncurante del rapporto di Fellon con la moglie Sarah, intreccia spudoratamente quello che appare come un rapporto fedifrago. Tanto spudorato è il rapporto con Olivia che Sarah, sempre stata conscia dell’ambiguità del proprio marito (e probabilmente a conoscenza del suo segreto), si toglie la vita in preda alla disperazione.

13250

Reduce dall’esperimento di Memento, Nolan si diletta anche in questa occasione a proporci più piste narrative avvicendate da un montaggio alternato mai confusionario, tuttalpiù unica soluzione possibile per poter saggiare (come se fossero sopra lo stesso palco) le doti dei due prestigiatori che si contendono la nostra amirazione. Appare così sempre più oculata la scelta di rendere evidenti tutti i numeri di prestigio che, altrimenti, avrebbero appesantito il montaggio e depotenziato il vero fulcro della vicenda: i due prestigiatori che per tutto il film, tramite l’espediente narrativo dei diari, giocano con noi fornendoci due premesse, due svolte e due prestigi. Sebbene il prestigio di Angier appaia più oscuro, macchinoso e – a suo modo – spettacolare, il film ci lascia solo dopo il prestigio di Borden (siglato da un abracadabra) che, per la sua semplicità ed efficacia, ci indica in ultima istanza chi dei due sia il mago più dotato. Un film che contiene soluzioni drammatiche, montaggistiche e attoriali che solo i grandi registi riescono a gestire magistralmente, e Nolan non smette di esserne la conferma vivente.

Giudizio Cinematographe

Regia - 4
Sceneggiatura - 4
Fotografia - 3.7
Recitazione - 4.2
Sonoro - 3.7
Emozione - 4

3.9

Voto Finale