Gomorra – La serie: recensione
Da quando uscì il libro a carattere giornalistico di Roberto Saviano, “Gomorra”, il quale apriva a tutti gli occhi sulla camorra, nessuno ha più smesso di parlarne. Nemmeno lo showbiz “de noatri”. C’è stato prima il film di Matteo Garrone con Toni Servillo, ora la serie tv omonima prodotta da una triplice collaborazione tra Sky, La7 e Cattleya. Il tutto porta la firma della stesso Saviano, ma la mente dietro “Gomorra – La serie” è Stefano Sollima, lo stesso showrunner che aveva tanto fatto parlare di se per la trasposizione sul piccolo schermo (sempre coadiuvato da Sky) di “Romanzo Criminale” (prima libro ad opera di Giancarlo De Cataldo, poi film per Michele Placido). L’operazione commerciale è la stessa: storia veritiera e serrata, attori bravissimi e non famosi (meglio se originari dei dintorni in cui è ambientata la storia, Napoli in questo caso), comparto tecnico (regia, fotografia, montaggio ecc) assolutamente di livello. Per farla breve una serie tv, la quale non va assolutamente definita fiction, che si va a posizionare per qualità nel panorama europeo accanto a gioielli come il britannico “Utopia” o il francese “Les Revenants”. Un vero peccato che tanta bravura non possa essere apprezzata da tutti: mentre Sky sborsava i soldi per “Romanzo Criminale” e “Gomorra – La serie” (serie tv violente e prive di qualsivoglia buonismo, girate con logica e rispetto delle realtà trattate) la Rai si impegnava a girare l’ennesima stagione di “Don Matteo” e Mediaset era indaffarata con “Squadra Antimafia” o con “L’onore e il rispetto” con Gabriel Garko. Il trash del trash insomma.
“Gomorra – La serie” parte descrivendo il potere del Boss Pietro Savastano (Fortunato Cerlino) e il conflitto, attraverso lo spaccio di droghe pesanti, con un altro Boss: Salvatore Conte (Marco Palvetti). In mezzo a ciò si intrecciano le storie di Gennaro (Salvatore Esposito), detto Genny, figlio di Don Pietro e donna Imma (Maria Pia Calzone), e di Ciro “l’Immortale” (Marco D’Amore). Genny è un Savastano e, sicuro di dover prendere un giorno il posto del padre, non vuole deludere il clan e i suoi genitori, anche se non è portato per la vita di strada tra le vele di Scampia. Ciro, invece, sfrutta le situazioni e più volte si fa fautore di nuovi equilibri interni al clan. Né vincitori né vinti. Nessun buono ma solo cattivi. Nessuna regola.
E’ facile pensare che “Gomorra – La serie” sia un prodotto pericoloso: chiunque si può esaltare per i protagonisti cercando di emularli, soprattutto i ragazzini che vivono in quel territorio e che con la camorra sono sempre a stretto contatto. In realtà la creatura di Sollima non si da uno scopo, non ha grandi aspirazioni: è un prodotto, così come lo si vede, fatto per intrattenere. Non ha la presunzione di dire “Guardate, vi facciamo vedere la camorra”. E proprio non dandosi uno scopo, uno scopo lo raggiunge: “Gomorra – La serie”, non volendo, è come se gridasse continuamente allo spettatore dritto in faccia “ma lo vedi che vita di merda che fanno i camorristi? Lo vedi il paradosso di chi ha tanti soldi e non può goderseli? Lo vedi come sta male chi comanda tutti, sempre ossessionato da mille paure?”
In Italia si dovrebbero spendere più soldi per prodotti del genere che per squallide fiction di second’ordine. Gli Italiani che non vanno a vedere i cinepanettoni al cinema ne hanno le tasche piene di un Lino Banfi la e di una Manuela Arcuri qua. Tutti sono contenti che la Ferilli faccia solo la pubblicità dei divani adesso. Basta solo un po’ d’impegno alla tv generalista per arrivare a un livello qualitativo che somigli a quello di “Gomorra – La serie” (che è stata venduta in 40 paesi). Oppure i produttori delle fiction di Rai e Mediaset che aumentino le loro gocce di Valium prima di andare a letto. Ne avranno di certo bisogno.