Recensione da letto – Sicario
– Oh, Santa Madre di Dio!
– Sst, abbassa la voce!
– Sicario, piccola… Mi hai fatto sentire i cori angelici. Erano mesi che non mi sentivo tanto bene, dopo.
– Tesoro, non gridare. Sono contenta che ti sia piaciuto, ma come mai la sorpresa? Conosci il mio regista, Denis Villeneuve…
– Certo, ha diretto Prisoners un paio d’anni fa. Gran film.
– …e certamente conosci Emily Blunt, Benicio del Toro e Josh Brolin, no?
– Certo che li conosco, Sicario. Ma sai quanti film con un regista virtuoso ed un cast di tutto rispetto mi hanno lasciato con l’amaro in bocca? Vuoi che parliamo di The Counselor? O di quella somma porcheria che è stato il quarto episodio di Pirati dei Caraibi?
– Già, non posso darti torto. Che dire? Sono stata fortunata… Tutti i pezzi sono andati al loro posto.
– No, Sicario, amore mio. La fortuna non c’entra nulla. Per fare un film come te ci vogliono fior di talenti e professionisti consumati, attori e tecnici in stato di grazia.
– Oh, beh…
– Prima dicevi del cast, per esempio. Hai ragione, sono tutti nomi noti del grande cinema. Eppure noi non vediamo Emily Blunt, vediamo un agente dell’FBI idealista che vuole fare la differenza…
Non vediamo Josh Brolin, ma un “consulente della difesa” con una spanna di pelo sullo stomaco. E Benicio del Toro non è mai altro che un uomo che si è lasciato dietro tutto, inclusa la propria anima.
Riesci a fare questo, Sicario, grazie alla bravura dei tuoi attori, che è innegabile, ma soprattutto grazie ad una regia ed una fotografia semplicemente impeccabili.
– Sì, devo dire che Villeneuve e Deakins non si sono risparmiati. Ti è piaciuta quando ti mostro le silhouette dei soldati che vanno in missione sullo sfondo del tramonto? Come se venissero fagocitati dall’orizzonte?
– Oh dio, sì. Il cielo, Sicario. Ogni scena all’aperto si svolge sotto cieli di bellezza struggente, anche le scene in cui la gente si ammazza (e non sono poche). Roger Deakins è un uomo che sa come vuole il suo cielo, e riesce a farne un elemento fondamentale della narrazione.
A tratti, mi hai ricordato la regia di Cary Fukunaga nella prima stagione di True Detective: riesci a descrivere la frontiera fra Stati Uniti e Messico come un luogo alieno, quasi onirico, lontano dalla società umana e dalle sue convenzioni.
– Una terra di lupi, per dirla come Alejandro…
– Già, Alejandro… Ecco, amore mio, fra i tanti meriti che hai, sei riuscita a riportare Benicio del Toro ai fasti di un tempo. Alejandro dice in tutto una cinquantina di parole, ma è uno dei personaggi più tragici, oscuri e carismatici degli ultimi anni. La scena in cui asciuga le lacrime di lei, nel finale, è di una potenza assoluta…
– E le scene d’azione? Ad alcuni sono sembrate troppo lente…
– Ah, Sicario, non ci badare, probabilmente sono i fan dei film di Michael Bay… Tu sei un thriller d’azione e Denis Villeneuve è il frutto di un’unione benedetta tra Michael Mann e David Fincher. La sequenza al confine tra Messico e Usa dura cinque minuti, ma grazie ad un equilibrio perfetto tra regia, fotografia e colonna sonora ti tiene col fiato sospeso per tutto il tempo. E lo stesso vale per la scena d’azione nel finale, eratta su di un gioco di luci e ombre che ha del miracoloso.
– Wow… devo proprio esserti piaciuta, insomma!
– Vuoi sapere qual è stata la cosa che mi è piaciuta di più?
– Quale?
– Il tuo finale, Sicario. Mi ha fatto godere come un riccio in un negozio di spazzole. Il tuo finale è spietato, crudele, superbo, e sancisce che nella terra dei lupi i cattivi vincono e i buoni vengono piegati, sconfitti e annientati. Oppure diventano cattivi anche loro.
– Già. Non è un messaggio positivo, vero?
– No. Ma un bel film non deve per forza avere un lieto fine.
– Mmm… E parlando di lieto fine, hai tenuto da parte qualcosa per il secondo round?
– Oh, qualcosa mi inventerò, vedrai…