BFI London Film Festival – Suffragette: recensione

Suffragette apre questa edizione del BFI London Film Festival che promette di essere molto incentrata su temi di stampo politico-sociale. Primo film ad avere avuto l’autorizzazione per essere girato all’House Of Parliament londinese, sede del parlamento britannico, Suffragette, come i titoli di testa ci informano, vuole raccontare la storia di un gruppo di donne appartenenti perlopiù alla classe lavorativa nella Londra di inizio Novecento. Per questo motivo la figura principale con cui il movimento viene spesso ricordato, quella cioè di Emmeline Pankhurst, viene spesso menzionata ma quasi mai inquadrata, fatto salvo per una scena cruciale – girata magistralmente – in cui, in una rarissima apparizione dall’alto di un balcone davanti ad una folla di sostenitrici – e sostenitori – ella inneggia a stringere i denti e continuare a lottare, nonostante le tante avversità.

Suffragette affronta la parità di diritti tra i sessi, evitando facili retoriche e scontate frasi ad effetto

È quindi non un caso che troviamo qualcuno come Meryl Streep in questo ruolo, che ovviamente sa catturare al meglio la figura della Pankhurst nonostante la ridotta quantità di screen time a sua disposizione.
Ma la maggior parte del film si sviluppa attorno a Maud Watts, personaggio catturato molto bene da Carey Mulligan, che sembra quasi messo lì apposta, per prendere lo spettatore per mano e condurlo – catapultarlo, si potrebbe quasi dire – non solo nella storia, ma nelle sporche e nebbiose strade della Londra di inizio secolo scorso. La scelta del verbo ben si addice infatti a Maud, figura molto reticente sin dall’inizio del film a farsi coinvolgere in qualsivoglia diatriba, ancor meno di tipo politico.

Suffragette

Il suo primo approccio con le suffragette non potrebbe essere più indicativo del naturale temperamento della giovane, che si ritrova per puro caso in mezzo ad una dimostrazione violenta di protesta da parte del movimento, una messa in pratica del nuovo orientamento recentemente trasmesso da parte della Pankhurst dopo quindici anni di manifestazioni pacifiche. Seguiamo quindi la lenta ma inarrestabile trasformazione di Maud, che anche se prende le forme iniziali di un atto di ribellione contro il proprio capo misogino, si sviluppa pian piano in una vera e propria presa di coscienza, che porta la giovane protagonista dapprima a parlare di fronte all’intera commissione parlamentare responsabile di accordare o meno il voto alle donne (spoiler alert: non avverrà prima del 1918, e anche allora sarà soltanto parziale), e poi ad unirsi ufficialmente al movimento, contravvenendo apertamente al volere di suo marito, personaggio che segue un percorso diametralmente opposto rispetto alla protagonista. Sonny infatti passa da essere il compagno premuroso e sempre pronto ad accorrere in aiuto di Maud, ad una figura debole e impaurita, che si ritrova nella situazione di dover cacciare di casa la moglie reazionaria e a negarle la possibilità di vedere il figlio, anche solo per una visita.

A proposito di uomini, vale la pena spendere qualche parola al riguardo poiché il film si dimostra molto intelligente nel modo in cui li presenta, nonostante le diverse prese di posizione proposte. Per la maggior parte comunque abbiamo a che fare con personaggi che sono più o meno solidali alla causa delle suffragette, e che, seppur la maggior parte delle volte rimangono statici e non passano all’azione, tuttavia collaborano all’affresco sociale dipinto nella pellicola, evitando così il rischio alla sceneggiatrice e alla regista di incappare in critiche – davvero fuori luogo – per una supposta parzialità.

Suffragette è un film che tocca per la prima volta il tema dei pari diritti, molto caldo in questi mesi soprattutto Oltreoceano, e lo fa evitando facili retoriche e altrettanto scontate frasi pompose e ad effetto; al contrario, cerca di presentare gli eventi quanti più sobriamente e fedelmente possibile, e il risultato finale convince e piace, al punto che gli si perdonano facilmente alcuni scivoloni di ritmo e qualche volta di troppo in cui l’elemento materno – usato per sottolineare il compito di child bearer/carer, unica caratteristica con cui le donne di allora venivano identificate – viene sottolineato. Ma come detto, a fronte di un lavoro davvero ben fatto sono sottigliezze assai facilmente perdonabili.

Giudizio Cinematographe

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 3.5
Fotografia - 3
Recitazione - 4
Sonoro - 2.5
Emozione - 4

3.4

Voto Finale