BFI London Film Festival – L’ultima parola – La vera storia di Dalton Trumbo: recensione
Il BFI London Film Festival prosegue con L’ultima parola – La vera storia di Dalton Trumbo, film incentrato sull’omonimo sceneggiatore hollywoodiano salito ai (tristi) onori della cronaca nel dopoguerra poiché appartenente al partito comunista. Trumbo apre in medias res nel 1947 e già dalle prime battute lo sceneggiatore John McNamara è bravo nel mostrarci il personaggio tramite gli oggetti che gli appartengono piuttosto che tramite il dialogo. Ma anche le sue azioni ci dicono molto: in una delle scene iniziali lo vediamo infatti partecipare ad una serata di gala in compagnia di alcune delle figure più prominenti della Hollywood del tempo, e Trumbo è l’unico vestito di bianco e risalta in mezzo ad una marea di completi neri. Già così si preconfigura il conflitto principale del film: la presa di posizione dello sceneggiatore riguardo ai propri ideali, e il rifiuto più assoluto di obbedire ad una legge che di fatto vieta la libertà intellettuale e di pensiero.
Con L’ultima parola – La vera storia di Dalton Trumbo il regista Jay Roach crea una trama secca e dritta al nocciolo, irrorata dalle mirabili interpretazioni di Bryan Cranston, Helen Mirren, Elle Fanning e John Goodman
Dopo che i primi minuti ci presentano il carattere del personaggio, la trama comincia a dipanarsi in fretta, con passo sicuro e deciso che lascia poco spazio a digressioni. Il clima politico del dopoguerra si fa sempre più caldo – anche se sarebbe più opportuno dire freddo – e con esso la caccia al fantasma rosso, come è passata alla storia: tanti intellettuali anche solo sospettati di avere delle simpatie verso il partito comunista vengono ostracizzati, dapprima in silenzio e poi con azioni sempre più decise, fino ad arrivare a dover comparire di fronte alla commissione per attività anti-americane del congresso per difendere se stessi. Una vera e propria caccia alle streghe quindi, in cui tutti coloro che non “cadevano in linea” con quanto ordinato ricevevano un’ingiunzione governativa, e in alcuni casi vere e proprie minacce.
Il regista Jay Roach fa un buon lavoro nell’imbastire una trama secca e dritta al nocciolo e per tre quarti del film il ritmo viene sostenuto molto bene, complice un cast dedicato che comprende nomi del calibro di Bryan Cranston, Helen Mirren, Elle Fanning e John Goodman, tutti capaci di abbracciare il proprio ruolo con gran maestria, dall’inizio alla fine (non a caso quando, in conferenza stampa, è stato loro chiesto se accetterebbero mai di recitare in un film nella cui ideologia di fondo non si rispecchiano, la risposta è stata un convinto no da parte di tutti). La pellicola funziona anche visivamente, in special modo nell’uso intelligente che fa dei documenti storici, con dissolvenze sia in entrata sia in uscita tra il film e i frammenti presi dai telegiornali dell’epoca. I dialoghi sono molto ben sviluppati da parte dello sceneggiatore McNamara, sempre dritti al punto e mai banali, con quella punta di sarcasmo mista ad ironia che li rende particolarmente efficaci quando abbinati alla figura di Trumbo, e alla sua lotta contro il sistema.
Pur perdendosi un po’ nel finale, complice forse una perdita di focus dovuta alla crescente ossessione del protagonista per portare a casa la mitica statuetta dell’Academy – che teoricamente sarebbe già sua avendo in pratica scritto il copione di Vacanze Romane, poi dato all’amico Ian McLellan Hunter per via della blacklist – L’ultima parola – La vera storia di Dalton Trumbo rimane un buon film con ottime prove da parte di tutto il cast, che si prende anche il compito di sottolineare come la libertà di espressione sia un diritto (non scritto) inalienabile, un reminder probabilmente necessario in tempi come questi.