Il culto gastronomico di Wes Anderson – tra cibi e bevande
Impeccabile relativamente ad ogni aspetto e particolarmente dedito al cosiddetto “culto dell’estetica“, se così possiamo definire la sua poetica, l’americano Wes Anderson non manca mai di sorprenderci perfino nell’ambito gastronomico; solitamente marginale e quasi pleonastico al fine della buona riuscita di un film, tale particolare è posto dal Nostro nel background di momenti drammatici e imbarazzanti o, molto banalmente, di scene di vita quotidiana. Per tale ragione si potrebbe dire che il cibo rappresenti l’indice degli stati d’animo di un determinato personaggio, accompagnandolo nelle sue sventure e giornate piacevoli.
Il culto gastronomico di Wes Anderson! Cibi da gustare… con gli occhi
“Tutto tenerezza e finali agrodolci“, così il gruppo indie-rock italiano i cani descrive la dolcezza dei film di Wes Anderson, la stessa dolcezza che percepiamo mei cibi delle sue pellicole. Ecco allora film di Wes Anderson da assaporare!
Nell’ambiguità della singolare famiglia dei I Tenenbaum, si possono individuare due momenti particolarmente significativi in cui il cibo non fa più da semplice sfondo della scena, bensì è come il compagno di disavventure dei protagonisti; nel momento in cui Royal, miseramente fingendo una malattia terminale, sdraiato sul suo letto, addenta un hamburger. Si percepisce una sorta di malinconico disagio e tristezza nel suo gesto, quasi fosse l’emblema del pover’uomo abbandonato a se stesso e privo degli affetti familiari. Sempre indice di drammaticità è il Bloody Mary che sorseggia Ricky, che lo accompagna nella sua spiacevole storia d’ “amore”.
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In Hotel Chevalier, breve ma intensissimo prequel del lungometraggio A Darjeeling Limitated, lo spettatore viene travolto da una fugace ondata di sensualità sublimata, in particolar modo, dal savoir faire di una conturbante ed androgina Natalie Portman alle prese con il suo ex-fidanzato di lei ancora follemente innamorato.
Proprio nel momento in cui gli vengono serviti, su un servizio d’argento, toast al formaggio, cioccolata calda e torta al cioccolato, la tensione e il disagio iniziale vengono oltrepassati poiché è proprio la sontuosità e la dolcezza da cibo a permettere loro di dar corpo alle più recondite fantasie e sciogliere la freddezza.
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Ultimo, ma non certamente d’importanza e valore, è il recentissimo The Grand Budapest Hotel dove assistiamo ad un quasi prodigioso e perfetto susseguirsi di fotogrammi e sequenze la cui impeccabilità architettonica fa pensare a dipinti aventi una semplice ma efficace prospettiva centrale, come quelli del Raffaello. Ciò che affascina del cinema di Wes Anderson è proprio quest’aderenza ai canoni dell’arte intesa come perfezione formale e stilistica, che non deve oscurare alcun punto; ed è proprio nel quadro quasi fiabesco di Zubrowka che si inseriscono il continuo peregrinare dei deliziosi e desiderabili Courtesan au Chocolat, il cui sapore è in un certo senso sublimato nel personaggio della giovane e fulgida pasticciera, Agatha, di cui si innamorerà perdutamente il protagonista e dipendente dell’albergo Zero Moustafa.