Chiamarsi Pier Paolo Pasolini. Quarant’anni dopo
La notte tra l’1 e il 2 novembre 1975 moriva Pier Paolo Pasolini. Giornalista, scrittore, regista italiano. Comunista e marxista convinto, scomparso prima dell’uscita in sala del suo ultimo film. Salò o le 120 giornate di Sodoma (prima e unica opera della trilogia sulla morte), arrivato nei cinema il 10 gennaio 1976, non aveva inizialmente superato la censura e, presentato alla stampa al Festival di Parigi poche settimane dopo la morte del regista, aveva suscitato pareri diversi e opposti. Il film, allegoria del potere e della politica attraverso la violenza e il sesso, a quarant’anni dalla scomparsa di Pasolini torna nei cinema in versione restaurata.
Chiamarsi Pier Paolo Pasolini. Quarant’anni dopo
Da spettatore appassionato di Chaplin, Dreyer e Ejzenstein ad autore e regista. Erano gli anni ’50 quando si proponeva come comparsa a Cinecittà e, una volta avviata l’attività letteraria e giornalistica, anche come sceneggiatore. Sempre alla ricerca di nuovi modelli espressivi, di nuove strade di comunicazione e di esperienze contrastanti.
Accattone (1961) è il primo film di Pier Paolo Pasolini. Il suo esordio registico non è passato di certo inosservato. Riprendendo il discorso avviato con il romanzo Ragazzi di vita, ha portato sul grande schermo il mondo del sottoproletariato romano, della povertà senza speranza, della diversità vissuta come colpa. Un mondo popolato di emarginati e delinquenti, puttane e protettori.
“Io amo il cinema perché con il cinema resto sempre al livello della realtà”.
L’anno successivo arriva in sala Mamma Roma, con la straordinaria interpretazione di Anna Magnani. Con questo film Pasolini racconta l’impossibilità di un riscatto sociale del sottoproletariato. Una lotta senza speranza, nonostante gli sforzi della protagonista di offrire un futuro migliore al giovane figlio. Comunista ma anche ateo, Pasolini di certo non era ben visto. Un personaggio scomodo anche per le stampa che lo mette a “processo” per La Ricotta, episodio dell’opera collettiva Ro.Go.Pa.G. È il grande Orson Welles a interpretare un regista marxista al lavoro sulla Passione di Cristo. Alter ego di Pasolini, che con questo personaggio lancia ancora una volta un attacco diretto alla borghesia italiana. Seguono altri capolavori sempre tra ideologia, sessualità e suggestioni religiose, come Comizi d’amore, Il Vangelo secondo Matteo, Uccellacci e uccellini, Edipo Re, Teorema, Porcile e Medea. Chiude il percorso da regista con la Trilogia della vita (Il Decameron, I racconti di Canterbury, Il fiore delle mille e una notte) che per Pasolini è un unico grande inno alla sacralità dei sensi, alle umane gioie corporee lontane da ogni vincolo, e contraddizione.
Omosessuale dichiarato e con la paura dell’utero materno, Pasolini ebbe un grande amore: Maria Callas. Entrambe anime inquiete e fragili. Lei appena uscita dalla struggente relazione con il miliardario Aristotele Onassis “era innamorata di Pier Paolo – ha affermato Dacia Maraini – e si illudeva di convertirlo all’eterosessualità. Sul palco era un drago, ma nella vita era una bambina di un’ingenuità sconfinata”. Lui l’amava, come si amano due anime in modo platico. Piera Degli Esposti, nutrice in Medea, ha raccontato: “Li ho sorpresi che si baciavano, abbracciati, nella sala costumi. La madre di Pier Paolo, Susanna, voleva che si fidanzassero”.
Sono trascorsi quarant’anni senza Pasolini, senza giustizia e verità su quanto avvenuto quella tragica notte sulla spiaggia di Ostia. Il suo cinema e la sua letteratura non hanno smesso di battere e battersi, e io sono tanto curiosa di sapere cosa ne penserebbe l’uomo incazzato con la borghesia e il regista simbolista dell’attuale cinema italiano. Chissà se gli piacerebbero lavori come Non essere cattivo di Caligari e Suburra di Sollima…
“È a New York da dieci giorni. È venuto pel festival cinematografico, vi davano due dei suoi film. Sono proprio curiosa di saper se l’America piace a questo marxista convinto, a questo cristiano arrabbiato, insomma a Pasolini”, dalle parole della sua amica “impossibile” Oriana Fallaci.