RFF2015 – Masterclass con Paul Haggis
Giornata di solidarietà e paura quella di ieri al Roma Fiction Fest. A unirsi al dolore di Parigi c’è stato il regista e sceneggiatore Paul Haggis, presenza speciale a Roma per una straordinaria masterclass e la presentazione della miniserie Show me a Hero.
Haggis ha immediatamente esordito con questo parole: «È così difficile parlare oggi», lasciando il pubblico in silenzio per pochi istanti di dolore. Eppure le parole il regista è riuscito a trovarle, sempre nel massimo del rispetto per la vicenda, sentendosi moltissimo coinvolto su quanto è accaduto.
In questo momento vuoi solo odiare, ma questo non ci poterà da nessuna parte.
E con questa frase si apre la Masterclass, moderata come sempre da Marco Spagnoli, che accompagna Haggis nel racconto di come si è approcciato alla serie e di come si è sviluppata nel corso della lavorazione, passando per la carriera e il carattere del premio Oscar americano.
Tu hai sempre scritto i tuoi film. In Show me a Hero, invece, non sei lo sceneggiatore. Come mai questa scelta. E come ti sei avvicinato.
Sono arrivato a questo progetto l’anno scorso mentre lavoravo ad un altro progetto a Londra. I miei agenti mi dicono che David Simon ha una mini serie, ed io dissi di dire si. Loro mi hanno chiesto se volessi prima leggere la sceneggiatura, mentre io ho detto no. Prima dovevano dire si e poi avrei letto la sceneggiatura. The Wire è la migliore serie e io sono sempre stato fan di Simon. Volevo disperatamente lavorare con lui. Mi hanno chiesto: vuoi dirigere un episodio? Primo e ultimo? E io ho detto che volevo farli tutti e sei. Erano increduli ma se una cosa devo farla la faccio bene.
Sono stato felice dell’idea perché questo argomento che credo sia molto importante, soprattutto oggi con le questioni che riguardano gli immigrati in prima persona. Mi piace l’idea di un personaggio che arriva dalla parte sbagliata della questione. Una persona che cerca di tenere fuori dai confini dei bianchi persone di colore o con etnie diverse. Non è una questione razziale, dicono, una questione economica. Quindi io ho pensato che fosse molto importante parlare di questo argomento, soprattutto ora che ha ancora un eco molto forte.
Si ha l’impressione di vedere un film di sei ore che forse al cinema non si potrebbe vedere. Lei che ha fatto tanto cinema, ha in mano un mezzo straordinario, la televisione. Fino a qualche anno fa sarebbe stato impensabile fare ciò che si fa adesso.
Questa è la cosa bella della tv oggi. Fa esattamente quello che facevano prima i film indipendenti degli anni 70’ e 80’, forse qualcosa anche dei 90’. Potevamo fare, all’epoca, la fiction indipendente. Oggi è molto più difficile fare questo con il cinema perché lo spettatore vuole lo spettacolo e le risposte facile, perché andare al cinema vuol dire dimenticarsi dei problemi; mentre, con la televisione, si ha molta più pazienza.
Nessun altro oltre a HBO potrebbe fare ciò che hanno fatto loro con questa serie. La tv è un luogo dove si può rischiare. Io continuo a voler fare film ma, dopo questa esperienza, spero di poter fare ancora televisione e non solo su argomenti politici ma anche su argomenti che riguardano più profondamente gli esseri umani.
Letteratura e tv. La tv è la nuova letteratura perché ha la stessa funzione che aveva il romanzo nel XVIII e XIX secolo: ar circolare le idee. E chi scrive di tv fa proprio questo. In questa serie le idee lei le veicola con la regia. Quindi, si sente un narratore o qualcuno che veicola idee.
È stata una grande collaborazione con David e William, perché entrambi sono giornalisti e hanno adattato il libro di una giornalista e i giornalisti tendono a pensare a una certa maniera, a un modo sul come mettere le idee sullo schermo. Sono pochi quelli che mettono le idee in discussione e poi sullo schermo come fa David Simon. Bisogna nascondere le proprie idee all’interno di forti emozioni. Cinema e tv non sono un mezzo intellettuale ma un mezzo emotivo. Se non ti importa che il personaggio va da qui o da li, allora è tutto insignificante, privo di tutto. Se ti importa, allora ci sono emozioni; ed è questo che io cerco di metterci.
Fin’ora ho sempre scritto quello che ho diretto, invece stavolta volevo semplicemente vedere le cose come puro regista. Quelli sono gli sceneggiatori e devo rispettarli. Come posso rendere una scena ricca di parole e al tempo stesso emotiva e viscerale? Con gli attori e la macchina da presa. Non è importante se una cosa è vera o meno. Sei tu che la devi far sembrare tale. Quello che ho cercato di fare è mettere un errore in ogni inquadratura, e poi inserire delle cose che interferiscono con la scena, qualcosa che dia la sensazione di essere fisicamente presente.
Lo squillo del telefono ripetuto e anticipato. Quanto hai scritto questo film con la regia?
Vorrei prendermi il merito totale di tutto, ma quella è stata un’idea di David. Voleva che lo spettatore avesse questa sensazione che qualcosa non andasse anche quando sembra che ormai si abbia vinto tutto. Oggi la politica ha a che vedere la paura e la divisione, basta pensare a quello che sta succedendo in giro. Tutti cercano di far spaventare qualcuno a causa di qualcun altro, soprattutto se si ha la pelle più scura. Io sono stato educato da cristiano cattolico e dopo un po’ mi sono liberato di questa cosa. Ma stamani ho pensato che noi non abbiamo mai potuto fare una cosa che ha detto cristo, ovvero ama il tuo nemico. Noi non lo capiamo nemmeno il nostro nemico, e quindi non si può amare ma si può solo odiare e questa cosa non ci porterà da nessuna parte. Non so quale sia la risposta, ma sicuramente non è quella.
Cura nei dettagli. La serie ti porta sempre a vedere delle cose, quindi ha un montaggio particolare. Quanto, in questo caso, il regista somiglia allo sceneggiatore.
David è stato fantastico con me e mi ha consentito tutto quello che volevo fare con attori e macchina da presa. È sempre stato molto presente ma mi ha dato molta libertà. Abbiamo avuto grande rispetto l’uno per l’altro ed è una cosa necessaria avere rispetto. Questo nel cinema non succedere spesso, anzi.
Importanza delle sue collaborazione nella sua carriera.
Io sono una persona di natura solitaria, ma vogliamo far parte di un gruppo. E per natura siamo contraddizione. Quando mi hanno candidato agli Oscar ho fatto una festa. Cerano davvero tutti e io poi sono andato nella mia stanza a guardare la tv. Sono molto introverso, quindi mi sono assicurato che avessero tutti da bere e poi sono tornato in camera. Odio scrivere cose che vanno oltre la vita lavorativa.
Casino Royal. Il mondo che lei ha creato per Bond ha praticamente azzerato l’orologio, per poi lasciare e poi agli altri lo spazio per proseguire. Quanto si può essere gelosi a vedere quel figlio che prosegue la strada per altre direzioni?
Sono una persona piccola e orribilmente e gelosa di quei figli di buona donna. Ovviamente tutti i registi, attori o scrittori vedi che hanno fatto una cosa grande e pensi che nella vita ti sarebbe piaciuto fare una cosa così. Questo succede, non solo quando non ti fanno un’offerta, ma anche quando hai rifiutato quell’offerta.
Fa sempre cose nuove. Difficile trovare una linea. Perché cambia sempre?
Mi piace che un narratore sia in grado di raccontare ogni storia. Per me c’è un elemento comune che magari non tutti vedono. Unna domanda alla quale non posso dare una risposta e che mi disturba. Cosa farei al posto suo? e non sono contento fino a quando non la trovo, mi perseguita.
Cosa l’ha spinta a fare questo lavoro.
Ero giovane e amavo il cinema, la tv, i fumetti e tutto ciò che raccontasse la storia. I film di Vincent Price e Alfred Hitchcock. Poi quando ho visto molti film francesi e italiani, Antonioni, Pasolini, Godard, Fellini, Truffaut. Ero in adorazione . Si può raccontare così? E volevo assolutamente farlo, e l’ho fatto soprattutto nel mio ultimo film Third Person. Un film in cui ci sono più domande che risposte. Mi è sempre piaciuta l’idea dei puzzle, cercare di capire che cosa sta succedendo, seduto al cinema o a casa. Forse posso soltanto provare cose attraverso i personaggi che creo. Orribile sensazione, forse perché e una proiezione del peggio di me stesso. Perché non sappiamo chi siamo. Pensi di sapere chi sei? Invece non ne hai la minima idea.
Si conclude la Masterclass con la consegna dell’Excellence Award a Paul Haggis da parte della madrina Simona Tabasco.