Il Professor Cenerentolo: una musica da Re
Il Professor Cenerentolo, ultima commedia di Leonardo Pieraccioni, è una fiaba prestata alla realtà. Il racconto di un uomo, Umberto, che si trova a scontare quattro anni di carcere nella disincantata isola di Ventotene, che incontra una donna mezza matta, mezza fata (Morgana alias Laura Chiatti) e che fa di tutto per conquistarla, ma le favole di oggi, si sa… non sempre hanno un lieto fine.
Il Professor Cenerentolo – una musica da Re
Pieraccioni torna al cinema cambiato, forse leggermente disilluso, ma nettamente più autentico; si sveste della faciloneria che in questi anni ha contraddistinto il suo personaggio per riempire il grande schermo con l’immagine di un uomo innamorato sì, ma riflessivo, dinamico e paterno. Un essere imperfetto e per questo speciale; un uomo fantasioso e quindi libero… Umberto rischia continuamente, trasgredisce le regole per ottenere ciò che vuole e lo fa con sfacciataggine, allegria e quella simpatia naturale, toscana, che laddove non fa sbellicare dal ridere, fa sorridere.
Leonardo, attore, regista, compositore, sullo schermo invade più campi, contaminandoli con quell’arte da cabarettista e la vis comica unica nel suo genere e lo fa con nonchalance, senza pretese ma con tanto amore, quello che scalda il cuore nel momento in cui, nel buio della sala, emerge adagio una musica, quella composta dallo stesso Pieraccioni, dal titolo Il Re.
Dopo aver ballato con la Chiatti al ritmo della vulcanica e coinvolgente All about that bass di Meghan Traynor, che passa quasi inosservata per la commercialità della quale è rivestita, si rimane estasiati dalle parole cantate dallo stesso Pieraccioni, pronunciate al calar della notte e amalgamate alle onde del mare e alla romanticità del momento. Una musica smussata ai lati (come in fondo è il suo umorismo) sintesi contorta e al contempo lineare di tutta la storia narrata; Umberto è un re all’interno del carcere in cui è costretto a vivere, re in confronto a Sveva, che ha bisogno di lui per raggiungere il 110 e lode e di Arnaldo racchiuso nel corpo di un bambino; re per Morgana che lo crede un uomo per bene senza sapere che è un detenuto, ma in fondo lui è ‘suddito’ di tutti loro; muove i fili della sua messa in scena coperto da questa gente che gli permette di essere al centro dell’attenzione.
Ascolta qui sotto la canzone Il Re di Leonardo Pieraccioni e guarda l’intervista video
Il Re si insinua nei meandri della mente con musicalità e poesia malinconica; l’autore attribuisce a se stesso il titolo di padrone delle sospensioni, delle indecisioni, delle cose più futili e impalpabili, sottolineando la piccolezza dell’uomo dinnanzi alla vita e soprattutto nei confronti dell’amore. Tant’è vero che nelle prime rime – che iniziano con la classica baciata per poi perdersi nelle ragnatele dell’alternanza – Pieraccioni si definisce “re di una donna di cuori”, simbolo dell’incertezza e della forza esercitata dalla donna nella sua vita, rappresentata in Il Professor Cenerentolo sia da Morgana che dalla figlia Martina. La delusione e lo strazio sentimentale si ricongiungono alla fine del verso, in cui l’immagine sempre felice del pagliaccio bilancia e confonde il pianto d’amore.
La canzone prosegue virando verso una nota amara di speranza e allegria, che nella parola “rutto” stempera la teatralità della quale si riveste riportando lo spettatore sulla via della commedia per poi riversarsi spudoratamente nella romanticità della dichiarazione, mettendo a nudo la parte più intima del suo essere: la fragilità di non essere il re di nessuno, ma solo di se stesso. E proprio con tutta la carica personale, imperfetta ma autentica, l’autore ammette “Ho bisogno di te”.
Sono il re dei regali sbagliati, dei discorsi indecisi e dei piccoli salti
Sono il re dei viaggi sospesi e dei passi perduti tra il cielo e gli asfalti
Sono il re di un corteo stralunato di episodici attori comprati a forfait
Sono il re di una donna di cuori che da tempo ho scordato dentro a un freddo caffè
Sono il re delle mezze stagioni dei ricordi bagnati stesi al sole d’agosto
Sono il re di quei cinema vuoti dove crescono i rami e non trovo mai posto
Sono il re del cartoccio di pizza e di un’inutile casa con il finto parquet
Sono il re dei pagliacci e stasera fra le luci del circo piangevo per te
Se ti affacci anche adesso mi vedi sullo sfondo del niente
le parole le ho scritte convinto ma sopra il burro cocente
e se scendi da quella cometa scoprirai soprattutto
che il regalo più bello che sogni a volte è la vita
e ripartire da un rutto
Sono il re dei cantanti stonati di una vecchia chitarra a cui manca una corda
Sono il re di un’inutile guerra e dei cantanti stonati che nessuno ricorda
Sono il re di me stesso e stasera ho trovato il coraggio di parlarti di me
Ma sono il re delle rime sbagliate e sottovoce ti dico
Ho bisogno
Ho bisogno di un tè