Intervista a Kornél Mundruczo, regista di White God
Il regista ungherese Kornél Mundruczó, dopo gli apprezzati Delta, Johanna e Tender Son, riesce col suo sesto lungometraggio a conquistarsi un primo posto a Cannes, nella sezione Un Certain Regard. Questo grazie a White God, un esperimento completamente riuscito, che mette in scena con coraggiosa chiarezza la profezia più tristemente probabile per questa umanità che si ostina a combattere i nemici che lei stessa ha creato.
Solo se saremo in grado di metterci nei panni delle altre specie, avremo la possibilità di deporre le armi
Un monito semplice quanto apparentemente inafferrabile dalle classi sociali dominanti, in cui per “altre specie” si intende ogni strato sociale diverso dal nostro e, per questo, automaticamente confinato all’emarginazione e alla povertà.
Ma chi soni gli altri? Chi ci dà il diritto di pensare che il benessere (inteso come esistenza dignitosa) sia una prerogativa occidentale? E se i reietti, forti della loro incombente superiorità numerica e della loro rabbia, prendessero il controllo?
Queste le riflessioni suscitate intelligentemente da White God, un film che, a partire dal titolo, offre con una simbologia forte ed efficace (la rivolta dei cani randagi) lo spunto per cambiare rotta e salvarci dai circoli viziosi in cui il mondo è ormai invischiato.
In una bella intervista, Mundruczó racconta i presupposti e gli intenti di questa ambiziosa pellicola:
Chi è il Dio Bianco? Cosa significa il titolo del film?
Ho voluto collocare il film in una prospettiva in cui si capisca che il cane è il simbolo dell’eterno emarginato per cui il padrone è il suo Dio. Mi hanno sempre interessato le peculiarità di Dio. Dio è davvero bianco? Oppure ogni persona ha il suo Dio? L’Uomo Bianco ha dimostrato innumerevoli volte che è solo capace di dominare e colonizzare. Le due parole collegate del titolo nascondono molte contraddizioni ed è per questo che l’ho trovato così accattivante.
Com’è nata in te l’idea di utilizzare i cani per rappresentare gli eterni emarginati? Che cosa ha ispirato la storia?
Nell’arte è sempre molto difficile trovare i mezzi per descrivere delle verità senza tempo in modo nuovo. L’incontro con la letteratura di Coetzee è stata un’esperienza rivelatrice. Il suo lavoro richiama l’attenzione sul fatto che c’è uno strato più basso anche di quello dei più emarginati che consiste in un’altra specie di esseri intelligenti e razionali che possono essere sfruttati in tutti i modi possibili dall’uomo: gli animali. È qui che ho cominciato a chiedermi se fosse possibile girare un film con un cane. L’idea era tanto spaventosa quanto stimolante. Inoltre è da un po’ che volevo girare un film con una ragazzina come protagonista. Nel film, una ragazza sul punto di diventare adolescente deve perdere la sua innocenza nello stesso modo in cui fanno i cani. È una storia a specchio in cui un elemento non può esistere senza l’altro.
Com’è stato lavorare con i cani e cosa ne è stato di loro dopo il film?
È stata un’esperienza terapeutica. È stato come entrare in contatto con la stessa Madre Natura e anche un po’ dell’Universo: come vedere il quadro completo, sentire l’infinito. Durante le riprese si aveva la sensazione che noi dovessimo adeguarci a loro e non viceversa. Il film è un esempio straordinario della cooperazione eccezionale tra due specie. Un’esperienza edificante anche perché ogni cane presente nel film proveniva dai canili e alla fine delle riprese sono stati tutti adottati e hanno trovato delle nuove case.
Che emozioni volevi suscitare nel pubblico che vedrà il film?
Questo è un film fortemente morale, che pone interrogativi altamente morali, il pubblico di conseguenza deve giungere a conclusioni morali. Per me ciò che è più importante è riuscire a far battere forte il cuore.
Dopo aver interpretato il ruolo principale in Tender Son – The Frankenstein Project, tu reciti anche in questo film. Apparirai sempre nei tuoi film d’ora in poi?
Non è nei miei programmi. Questo è stato uno sfortunato incidente che non rimpiango. L’attore che doveva interpretare l’Afgano ha dovuto rinunciare all’ultimo minuto. Non ho trovato nessuno che prendesse il suo posto. Onestamente mi piace recitare, ma preferisco farlo in film di altri.
Gli ultimi 40 minuti del film mostrano immagini mai viste prima. Perché questo era necessario?
Questi sono momenti in cui le masse si ribellano, l’attuale paura dell’Europa: la rivoluzione delle masse. E hanno ragione ad aver paura. Ho cercato delle immagini simboliche per rappresentare tutto questo, in modo che si veda la direzione che si prende quando ci si rifiuta di mettersi nei panni di un’altra specie, dell’avversario o delle minoranze. Volevo mostrare la loro prospettiva. L’arte non deve mai rinunciare alla sua posizione critica, mettendo uno specchio davanti alla società.