L’abbiamo fatta grossa: intervista a Carlo Verdone e Antonio Albanese
“Quando parli da un investigatore privato e di un altro personaggio che va a chiedergli una mano è normale che poi qualcosa non deve andare per il verso giusto”, con queste parole Carlo Verdone introduce L’abbiamo fatta grossa, la sua ultima commedia che lo vede duettare con un altro comico sui generis: Antonio Albanese.
Il regista di Bianco, Rosso e Verdone si rimette in gioco vestendo i panni di Arturo Merlino, un ex carabiniere che per vivere fa l’investigatore privato, peccato che le sue classiche occupazioni consistano nel raccattare gatti e cani, finché a ingaggiarlo non è Yuri Pelagatti, attore teatrale in fase di depressione a causa della separazione dalla moglie, disoccupato e senza dubbio ricco di idee malsane, che condurranno sia lui che il caro Arturo in grossi pasticci.
“Era la morte sua il fatto di andare su una commedia leggera e sul noir” – commenta Verdone, che ammette – “Facendo questo film volevo liberarmi di tutti quei lavori che mi avevano visto sempre in situazioni analoghe: scontro generazione, solitudine, rapporti tra marito e moglie… e così con gli sceneggiatori abbiamo cercato di creare una favola. Sentivo davvero il bisogno di liberarmi di alcuni temi che avevo già sfruttato abbastanza. Nella mia carriera ho sempre avuto necessità di sterzare, di cambiare e per questo sono ancora qui dopo 37 anni”
L’abbiamo fatta grossa: intervista e foto (Ph. Barbara Como) a Carlo Verdone e Antonio Albanese
“Io e Carlo abbiamo messo insieme i nostri corpicini e io mi sono trovato a lavorare con una troupe pazzesca” – ha dichiarato Antonio Albanese – “Confrontarmi con un attore che io amo profondamente è stata una bella esperienza. Così si imparano cose che non trovi sui manuali. Mi piacerebbe ritornare a lavorare con lui”.
Ma cosa ha unito Carlo Verdone e Antonio Albanese, una coppia così fuori da comune ma allo stesso tempo armoniosa? “Ci ha uniti la passione per la musica e per l’arte – anche lui è un collezionista-. A lui piaceva il mio accento romano, a me il suo accento lombardo. Non ci siamo mai scavalcati sul set, tra di noi c’è stato rispetto: se io facevo una cosa in più poi permettevo anche a lui di fare lo stesso e viceversa”. E con delicatezza e un armonioso movimento mimico anche Albanese dice la sua: “È una questione di ritmo interno. Ricordo che una volta dovevo fare un monologo con un saxofono ed eravamo in tre. Un ragazzo è venuto, si è presentato dicendomi che già mi conosceva e apprezzava il mio lavoro e abbiamo iniziato subito (aveva già letto il copione). Mi sono sentito più leggero con la sua musica in sottofondo, come se mi avesse tatuato musicalmente. La stessa cosa mi è successa con Carlo; la sua ironia mi ha tatuato“.
Insomma pare essere nata una bella coppia di artisti, oltre che una bella amicizia tra due delle personalità più amate del cinema italiano, le quali hanno capito che l’unione fa la forza, in un cinema come quello nostrano in cui il più delle volte ognuno va per conto proprio. “Abbiamo già una traccia di quello che potremo fare tra due anni, è una cosa che deve proseguire. C’è bisogno di unire le forze, creare una coppia. Poi insomma nel nostro cinema ognuno va per conto suo … È tutto perfetto tra noi perché abbiamo la stessa ironia!” commenta Carlo Verdone.
E cosa ci dice il regista della sceneggiatura e delle ambientazioni romane che vanno fuori dalle classiche location?
“Era una storia scritta qualche anno fa, ho aperto il cassetto e l’ho ritrovata. Mi piaceva l’immagine dell’investigatore privato, perché è uno che può fare di tutto, cacciarsi nel guai… o essere un poveraccio come me… Tra le possibilità c’era in ballo anche la perdita della memoria, che poi ho scoperto essere una delle più grandi paure di Antonio. La storia era alquanto caotica, poi grazie a Gaudioso siamo riusciti a fare un buon lavoro di sceneggiatura”.
Per quanto riguarda gli scorci della Capitale, Verdone ammette di aver volutamente cercato luoghi poco battuti dal cinema, come il Bar Tevere che “è uno di quei bar che ricordano la Roma degli anni ’50. In questo modo volevo omaggiare in un certo senso Pasolini, che se non ricordo male ha girato delle scene proprio lì; tra l’altro accanto c’è un murales che lo ritrae. Mi piaceva insomma il quartiere castrense, che quando in estate si svuota è meraviglioso e ancora il Teatro di Villa Torlonia, che conoscono in pochi. Ho cercato in poche parole una Roma inconsueta, Catinari poi, con la fotografia, è riuscito a creare una luce che ricorda davvero la Roma degli anni ’30”.
Cosa ha spinto invece Antonio Albanese a lavorare insieme a Carlo Verdone?
“Quando ho visto Bianco, Rosso e Verdone avevo 18 anni e non facevo questo lavoro. Mi ha esaltato la capacità di quest’uomo di esaltare determinati caratteri. Perché Carlo è uno che crea personaggi, crea caratteri. Io cerco di fare lo stesso; come lui non sono bravo nelle imitazioni. Per questo si è creata sintonia”.
E a chi rimprovera a Verdone troppe parolacce, l’artista risponde: “Non era per bisogno di far ridere per forza, mi sono uscite e sono state riprese. Ma hai ragione tu e ti chiedo scusa: ci sono due cazzi di troppo!”
(Ph. Barbara Como)