Revenant: recensione da letto
Lui: Revenant, film spaccone e arrogante (ma se lo può permettere).
Lei: spettatrice impressionata e soddisfatta, ma intenta a nasconderlo.
– Sì, beh, non male…
– Non male?
– Sì, insomma, sei un bel film, però te la tiri un po’ troppo.
– E ti pareva…
– Mi spiace, Revenant, ma trasudi arroganza. Sei l’estensione dell’ego ipertrofico di Alejandro González Iñárritu. Ho capito che è bravo con i piani sequenza, che è un virtuoso, che la luce è artificiale, ma che palle! Stai facendo un film, mica stai salvando il mondo!
– Piano, sbarbina, piano. Partiamo da una premessa. Su Iñárritu hai ragione. È universalmente risaputo che è un egomaniaco con smanie di onnipotenza. Lavorare con Himmler nel 1945 deve essere stato come lavorare con Iñárritu oggi. E la sua regia non è da meno: Iñárritu è un virtuoso e tutti devono saperlo, tutti devono riconoscere che è un mago della cinepresa, tutti devono strapparsi i capelli per lo stupore alla visione dei suoi piani sequenza impossibili. Per Iñárritu fare un film è come tirare fuori il pisello e sbatterlo sotto il naso di ogni singolo componente della platea al grido di “Guarda quanto ce l’ho lungo!”.
– Esatto, esatto!
– E ora dimmi: questo cosa c’entra con me? Se non sapessi niente del mio regista, ti sembrerei un film arrogante?
– Beh, forse no.
– Appunto. La verità è che per quanto ti possa non piacere, Iñárritu è un regista come ce ne sono pochi. Lui ed Emmanuel Lubezki…
– Chi?
– Lubezki, sbarbina ignorante. Uno dei direttori della fotografia migliori di sempre. Uno che lavora abitualmente con Terence Malick e Alfonso Cuaròn. Nel mio caso, Iñárritu e Lubezki riescono a creare delle sequenze veramente impossibili. Soprattutto, riescono a restituire luci, spazi e fascino della terra di frontiera: ogni mia inquadratura racconta di un luogo in cui l’umanità è malvista e mal tollerata, ti faccio sentire la terra ghiacciata sotto i piedi e l’aria fredda in faccia. Iñárritu fa della natura il protagonista del film, alla pari di Hugh Glass.
– Ok, Revenant, mi sta bene. Ma spiegami perchè tutto l’hype per le scene girate rigorosamente con la luce artificiale e in condizioni estreme. Voglio dire, c’era proprio bisogno di andare a girare a 30 gradi sotto zero? “Sono Alejandro González Iñárritu, sono un artista e vi porto tutti a congelarvi le chiappe perchè ho bisogno della luce naturale”. Ma dai…
– Mai sentito parlare di Apocalypse Now e Francis Ford Coppola?
– Sì, ma…
– Allora ti rispondo come farebbe il mio regista. Certo, era possibile girare tutto con il green screen, spendendo molti meno soldi e facendo stare tutti al caldo, ma allora io sarei stato un film mediocre. E magari non saresti venuta a vedermi, se non per Leonardo Di Caprio.
– Ecco, meno male che c’è Leo. Che attore geniale… Ma che fai, ti rivesti? Revenant, dove stai andando?
– Direi che mi sono trattenuto fin troppo.
– Ma perché?
– Tesoro, Leonardo Di Caprio non è un attore geniale. È una grande star di Hollywood ed ottimo attore, ma non è un genio. Non è Marlon Brando, o Al Pacino: ha un po’ di talento, ma il resto è tutto sangue, sudore e metodo. È un professionista consumato che si può permettere di scegliere i film che vuole, e si fa il mazzo per ogni ruolo.
Per fare me ce l’ha messa tutta e anche un po’ di più. Ha imparato la lingua dei nativi, ha mangiato il fegato crudo del bisonte, ha dormito nella carcassa del cavallo (almeno così dicono). Ha recitato con bronchite e febbre alta a 30 sotto zero, perchè la scena lo richiedeva.
– Beh, a me è piaciuto, ok? Se neanche questo giro non gli danno l’Oscar è un delitto!
– E che ci vuoi fare? È questo il problema con le grandi star del cinema. Gente come Brad Pitt, Di Caprio, Nicole Kidman, Julia Roberts: il pubblico è abituato a vederli come tali, non come i loro personaggi. Se è vero che un attore dovrebbe annullarsi nel proprio personaggio, per loro è più difficile che per altri. Però ti posso capire, sai? Sarà la barba, sarà la fotografia, sarà lo scenario, ma sono forse il primo film che fa dimenticare che Di Caprio è Di Caprio…
– Ecco, esatto!
– E di Tom Hardy che mi dici?
– Chi? Ah, sì… Non male…
– Lo immaginavo. Passami le scarpe…
– Ma perché scappi, Revenant? Cosa ho detto?
– Perché sei una capra. Perchè Tom Hardy, invece, ha il potenziale per diventare un nuovo Marlon Brando.
E tornando al discorso iniziale, sbarbatella ignorante che non sei altro, avrei capito se mi avessi detto che il mio finale non è all’altezza del resto, o che la sceneggiatura non è il mio punto forte, e neanche il mio soggetto. Sarebbe stato un giudizio severo, ma plausibile. Invece hai tagliato un giudizio frettoloso e spiantato sulla base di quello che sai del mio regista. Come hanno fatto molti altri, del resto.
– D’accordo, scusa, ho capito… Non ti arrabbiare.
– Non mi arrabbio, ma me ne vado. Ma tu consolati: la settimana prossima esce Pride and Prejudice and Zombies. Ho sentito che il regista è un simpaticone, quindi ti piacerà un sacco.