The normal heart: recensione
E’ risaputo che lavorare per una serie televisiva può essere molto più interessante che lavorare per un film, ai giorni nostri. La serialità offre opportunità di una trama più fitta e permette ad autori, registi ed attori di accaparrarsi le simpatie di un pubblico che è sempre in costante aumento. Altro discorso si deve fare per i film per la televisione. Noi italiani non siamo molto pratici del settore: di solito il minimo comune multiplo dei nostri lavori di questo genere è la presenza di Beppe Fiorello sui nostri schermi televisivi per un paio di sere di fila. Senza nulla togliere alle sceneggiature che toccano sempre temi scottanti e a Fiorello in persona, vero professionista ed attore di spessore; pur apprezzando ciò che viene fatto, non credo che se questo tipo di cinematografia vedesse la luce nelle nostre sale riuscirebbe ad avere un seguito abbastanza consistente da spingere chiunque a riprovarci.
Nulla a che vedere con la nuova produzione dell’HBO con protagonisti di un certo calibro come Mark Ruffalo (il nuovo Hulk di “The Avengers”), Matt Bomer (uno degli spogliarellisti di “Magic Mike”), Jim Parsons (il nerdissimo Sheldon Cooper di “The big bang theory”) senza dimenticarsi di Alfred Molina (il Dr. Octopus di “Spiderman 2”) e della bellissima Julia Roberts. Ai quali si aggiunge anche la direzione di un uomo che ha creato serie televisive come “Glee” e “American horror story” (solo per citare le più famose) e che, una delle uniche due volte che ha lavorato per il cinema, è stato dietro la macchina da presa di “Mangia, prega, ama”: Ryan Murphy. Il film si chiama “The normal heart” ed è l’evento televisivo dell’anno (forse secondo solo a “Gomorra” per noi italiani) ed è basato su un’opera teatrale del 1985 di Larry Kramer. E’ la storia di Ned Weeks (Ruffalo), ex scrittore e sceneggiatore che nel 1981, dopo lo “scoppio” di quello che si scoprirà essere il virus dell’ HIV, diventa uno dei principali attivisti nella lotta contro un qualcosa che senza preavviso lo stava privando di molti dei suoi cari amici. La sua missione non è per nulla facile e lo spingerà a mettersi contro la New York in cui vive, il governo degli stati Uniti d’America e, soprattutto, l’intera comunità gay di cui fa parte, che aveva lottato per raggiungere in quegli anni un’emancipazione sessuale desiderata da tanto. I suoi unici affetti sono il fratello avvocato Ben (Molina), la dott.ssa Emma Brookner (Roberts) costretta su una sedia a rotelle dalla polio contratta da bambina e l’amore della sua vita Felix Turner (Bomer).
Il film tratta tematiche vicine già ad altre pellicole hollywoodiane con le quali condivide la difficoltà nel maneggiarle senza incappare nelle critiche spudorate di movimenti come l’arcigay e simili. Non sembra il caso di “The normal heart” perché è interamente incentrato sul punto di vista gay, raccontato dal punto di vista gay; non senza alcune scene molto esplicite a cui forse non tutti saranno pronti, soprattutto in un paese come il nostro che non riconosce agli omosessuali neanche il diritto di unirsi in matrimonio. Farà sicuramente parlare di sé, sarà argomento di dibattiti la sera tra amici, ma ciò che fa riflettere davvero è quello che il mondo gay ha dovuto sopportare negli anni ’80 e senza alcuna colpa. Non ci vengono risparmiate immagini dei gay costretti a soffrire come gli ebrei sotto Hitler o come gli handicappati sotto l’occhio troppo curioso di tutto il mondo; Kramer ci trasmette tutta la sua rabbia per quanto ha dovuto sopportare negli anni subito precedenti alla stesura di quest’opera e non risparmia una piccola nota autobiografica: l’università di Yale nella quale si è laureato è la stessa nella quale Ned provò per la prima volta a suicidarsi e la stessa dove, anni dopo le lotte per i diritti dei gay ai quali prese anche lui parte, venne indetta la “settimana gay”.
A rendere perfetto l’ingranaggio di questa trama così vera c’è un cast perfetto, composto anche da gay dichiarati,che non ha fatto mai cadere la questione trattata in mera autocommiserazione, ma l’ha valorizzata in un magnifico innalzamento di un tema così scottante all’inizio del film quanto commovente in conclusione. Un plauso speciale a Matt Bomer (Felix) che ha attuato una trasformazione del suo corpo degna del Matthew McCounaghey di “Dallas buyers club” premio Oscar lo scorso anno.
Il film è audace sin dal titolo. L’ aggettivo “normal” può essere riferito al cuore di chi lotta per qualcosa di giusto ma anche, e forse più propriamente, al cuore che ama persone del proprio stesso sesso, normale esattamente come quello che ama persone di sesso opposto. Questo è il punto di partenza, la conditio sine qua non tutto il resto del film non avrebbe ragione d’essere. E’ una storia drammatica della storia dei giorni nostri, che forse sarebbe potuta esserlo un po’ meno se davvero fosse stato da tutti considerato normale il cuore delle persone costretto a smettere di pompare sangue per colpa di una malattia per il debellamento della quale nessuno si impegnò seriamente se non alcuni anni dopo, quando il numero delle vittime era già alto, decisamente troppo.